Secondo Report, il caso del villaggio di Mbegi – dove decine contadini sarebbero insoddisfatti dell’andamento della coltivazione di ricino – indica il fallimento del progetto.
Nell’aprile 2023 si è svolta nella contea di Nakuru una campagna dimostrativa che ha coinvolto circa 1900 agricoltori per un totale di 2500 ettari. In particolare, nel villaggio di Mbegi 150 agricoltori hanno aderito al progetto di coltivazione del ricino e 120 hanno avviato la semina su 58 ettari. Di questi, 32 agricoltori hanno espresso insoddisfazione.
Rispetto ai 30 mila agricoltori coinvolti nella campagna dimostrativa dell’aprile 2023 in Kenya, i 32 abitanti del villaggio di Mbegi che hanno espresso insoddisfazione rappresentano l’uno per mille. Pertanto, il campione è statisticamente non rappresentativo.
I progetti di coltivazione di agri-feedstock, sviluppati con il supporto del Ministero dell’Agricoltura del Kenya, a oggi coinvolgono oltre 100.000 agricoltori in tutto il Paese, e il numero è in crescita.
Secondo Report, la coltivazione di ricino avvelenerebbe i terreni e gli animali
La coltivazione di ricino è una pratica consolidata a livello globale: oltre 1,5 milioni di tonnellate di semi prodotte annualmente e una produzione di olio nell’ordine di circa 700-800 mila tonnellate annue.
La letteratura scientifica non evidenzia casi di contaminazione dei terreni a causa della coltivazione del ricino. Al contrario: il ricino ha una elevata capacità di assorbimento di inquinanti dai suoli, tanto che sono allo studio in Europa e in Asia soluzioni di decontaminazione dei suoli (fito-remediation) proprio tramite all’utilizzo del ricino.
Infine, in Kenya e negli altri Paesi in cui Eni sviluppa progetti di coltivazione di ricino per agri feedstock, gli agricoltori vengono opportunamente formati riguardo il fatto che i semi del ricino non siano edibili.
Secondo Report, gli agricoltori si aspettavano un pagamento a ettaro e sono insoddisfatti dal guadagno
Eni collabora con società locali che hanno il ruolo di aggregatori che ricevono, tra l’altro, la fornitura da parte di Eni delle sementi da utilizzarsi per la semina, stipulano i contratti con gli agricoltori per l’acquisto dell’intera produzione, e forniscono servizi agronomici.
Il contratto tra aggregatore e agricoltore prevede la remunerazione sulla base del prodotto consegnato e non in base alla superficie coltivata.
Il prezzo che riceve l’agricoltore viene negoziato tra le parti stagionalmente ed è concordato, e quindi fissato, prima dell’inizio della campagna di semina. Oltre al pagamento per l’intero volume raccolto, l’agricoltore inoltre riceve ulteriori servizi, tra cui la preparazione del terreno e le sementi per la coltivazione delle piante di ricino. Tutti i servizi forniti dall’aggregatore consentono quindi all’agricoltore di azzerare e l’esposizione finanziaria e quindi a non incorrere a spese.
I 32 abitanti del villaggio di Mbegi che hanno manifestato insoddisfazione, hanno coltivato mediamente 0,4 ettari (4000 metri quadrati) di terreno ciascuno, con una resa media pari a 100kg per ettaro, e una produzione media pari a 40kg a testa e hanno ricevuto un pagamento del prodotto consegnato in coerenza con i termini del contratto stipulato con l’aggregatore. Complessivamente nella contea di Nakuru gli agricoltori hanno raggiunto rese di 300Kg per ettaro, con una superficie media pro-capite pari a 0,8 ettari (8000 metri quadrati).
Eni monitora costantemente il rispetto e l’applicazione delle condizioni contrattuali per verificare, tra l’altro, la corretta applicazione delle condizioni economiche che riguardano gli agricoltori, i requisiti per l’ottenimento della certificazione di sostenibilità e l’ottemperanza delle norme di sicurezza. Relativamente alla campagna 2023 nel villaggio di Mbegi le verifiche sopra citate sono state effettuate non facendo emergere alcuna anomalia rispetto alle condizioni contrattuali stipulate tra le parti.
Secondo Report, i coltivatori sono stati costretti a espiantare colture alimentari per destinare tutto il terreno alla coltivazione di ricino
Il modello di produzione di agri-feedstock di Eni non è in competizione con la filiera alimentare. Eni punta a fare leva su terreni severamente degradati, favorisce colture in rotazione-consociazione con le produzioni alimentari, e valorizza residui forestali e agro-industriali.
In particolare, in Kenya, Eni promuove sia la coltivazione su terreni aridi e semiaridi (ASAL – Arid and Semi Arid Land) così come definito dal Ministero dell’Agricoltura locale, in monocoltura laddove i terreni non sono adatti alla produzione di cibo e in consociazione con colture alimentari tradizionali laddove è possibile.
A oggi nella contea di Nakuru l’80% del ricino è coltivato in consociazione e il restante 20% in monocoltura.
Qui sotto due foto dei campi coltivati dagli agricoltori del villaggio di Mbegi, nelle quali è evidente la tipologia di coltivazione in consociazione, ad integrazione e non in sostituzione della coltivazione per scopi alimentari.
L’intera produzione di oli vegetali prodotti è certificata secondo lo schema europeo ISCC. Il rilascio della medesima implica un campionamento di tutta la supply chain del processo, tra agri-hub, aggregatori e agricoltori, assicurando il rispetto dell’ambiente e dei diritti umani.
Eni ha inoltre siglato un accordo con la International Labour Organization (ILO), agenzia delle Nazioni Unite, per la promozione e verifica dei diritti dei lavoratori e nella fattispecie degli agricoltori.
Secondo Report, il progetto di produzione di agri-feedstock non prevede nessuna sperimentazione agricola
Eni dal 2022 conduce attività di sperimentazione su più varietà di ricino in Italia e in Kenya, cui hanno fatto seguito progetti pilota in diversi altri Paesi. Gli obiettivi della sperimentazione consistono nella verifica dell’adattabilità delle sementi nei diversi Paesi e il loro potenziale produttivo.
In Kenya la sperimentazione ha consentito di avviare nei primi mesi del 2023 una fase dimostrativa su circa 27 mila ettari coinvolgendo 23 mila agricoltori, per la verifica in campo delle assunzioni sperimentali con l’obiettivo di selezionare le varietà di sementi più idonee per ciascuna regione.
In merito alla fase sperimentale, Eni Kenya dal 2022 lavora a stretto contatto con KALRO (Kenya Agricultural and Livestock Research Organization) e KEPHIS (Kenya Plant Health Inspectorate Service), le due autorità del Ministero dell’agricoltura preposte per la sperimentazione e la corretta introduzione delle diverse varietà di semi nel Paese (rapporti disponibili su stima rese ecc).
Il servizio trasmesso da Report per quanto concerne il villaggio di Mbegi nella contea di Nakuru si riferisce alla fase dimostrativa di aprile 2023.
I risultati delle fasi dimostrative hanno consentito di avviare nel primo trimestre 2024 una campagna di semina di pieno campo, coinvolgendo più 100 mila agricoltori per un totale di 80 mila ettari. Lo sviluppo del progetto, dalla fase sperimentale a quella dimostrativa, unitamente alle azioni di ottimizzazione attuate, per esempio l’introduzione delle migliori pratiche agricole, ha portato a un progressivo incremento delle rese produttive nell’attuale fase di semina di pieno campo.
Secondo Report, gli agricoltori si espongono a rischi e non traggono nessun beneficio dal progetto
Gli agricoltori beneficiano della fornitura gratuita degli strumenti e servizi necessari alla coltivazione dei propri campi e contribuiscono al processo produttivo tramite la manodopera, ricevendo un compenso basato sulla produzione ottenuta e quindi un valore pattuito contrattualmente per chilogrammo prodotto. Non sono fissati limiti minimi di produzione da raggiungere, e l’agricoltore non sostiene spese. Eni garantisce l’accesso al mercato impegnandosi a ritirare tutto il prodotto di ciascuna campagna agricola, e si fa carico del rischio agricolo legato alle rese.
Report nota che su 9 progetti-pilota del Piano Mattei, 7 sono in Paesi strategici per Eni in Africa e definisce il Piano Mattei “il Piano Descalzi”
L’unico progetto di Eni inserito nel Piano Mattei è la produzione di agri-feedstock in Kenya, da destinare alla bioraffinazione.
Il progetto, avviato già nel 2021, sostiene la filiera agricola del Kenya e contribuisce a integrare il Paese nella filiera della decarbonizzazione dei trasporti.
Il progetto supporta il raggiungimento degli obiettivi di Eni in materia di decarbonizzazione integrata dell’intero asset societario (Net Zero al 2050), e centrale nella strategia Eni di integrazione verticale nella produzione di bio-carburanti, leva fondamentale in particolare per la decarbonizzazione del trasporto, in particolare nell’aviazione, nello shipping e anche pesante su strada.
Report fa riferimento al finanziamento di 210 M – 135 M da Banca Mondiale e 75 milioni dallo Stato italiano – ottenuto da Eni e chiede quanti sono finiti nelle tasche dei contadini
Nel maggio 2024 Eni e International Finance Coorporation (gruppo Banca Mondiale) hanno sottoscritto degli accordi di collaborazione per un finanziamento complessivo di 210 milioni di dollari a supporto delle Iniziative agri-feedstock in Kenya. L’accordo prevede che IFC eroghi fino a 135M$ e i rimanenti 75M$ siano coperti da parte del Fondo italiano per il Clima. Parte di questi fondi è destinata a sostenere la lavorazione delle materie prime agricole in Kenya, compresi i servizi di supporto alla filiera per migliorare la gestione del capitale circolante e la produttività degli agricoltori locali.
Il finanziamento in questione, una volta attivato, sarà rimborsato da Eni secondo tassi di interesse di mercato.
Eni ha ricevuto dalla redazione di Report una serie di domande a cui ha risposto ampiamente ma che sono state ignorate nel servizio.
Il Piano Mattei è un ampio progetto politico governativo che include molteplici aree di attività nel continente africano.
Il progetto di agri-feedstock in Kenya, il progetto di Eni incluso nel Piano, nasce nel 2021 grazie all’accordo con le istituzioni locali per lo sviluppo di progettualità legate alla decarbonizzazione e ai biocarburanti, con focus sulla produzione di oli vegetali (agri-feedstcok) per la bio-raffinazione. Visti gli impatti positivi dell’iniziativa in termini ambientali e socio-economici già dalle sue prime fasi, il progetto ha ottenuto il sostegno dell’International Finance Corporation (che fa parte della Banca Mondiale) e del Fondo Italiano per il Clima.
L’iniziativa prevede, tra l’altro, la collaborazione con gli agricoltori locali, che lavorano la propria terra, e che ricevono supporto in termini di input, meccanizzazione, logistica, certificazione e formazione.
I semi vengono coltivati su terreni degradati e in rotazione con colture alimentari, contribuendo a rigenerare la fertilità del suolo; grazie alla valorizzazione di residui delle filiere agro-industriali, il progetto promuove l’adozione di pratiche di economia circolare.
L’iniziativa, inoltre, contribuisce alla sicurezza alimentare in loco, grazie alla produzione e valorizzazione di mangimi e fertilizzanti ottenuti a partire dai sottoprodotti di estrazione dell’olio vegetale.
Il progetto, infine, assicurerà in Kenya redditi aggiuntivi a fino a 200.000 piccoli coltivatori keniani e consentirà di rigenerare fino a 200 mila ettari di terreni agricoli.
Per quanto riguarda il tema delle acque contese tra Kenya e Somalia, Eni non ha effettuato, né ha in programma di effettuare, alcuna attività esplorativa nei blocchi offshore in questione. Eni, infine, non commenta su controversie internazionali.
Nell’ambito del progetto di produzione di oli vegetali in Kenya sono emerse delle criticità in diverse regioni come quella di Nakuru dove gli alberi di ricino hanno prodotto pochissimi frutti. Cosa è accaduto? È stato dato il corretto supporto ai coltivatori locali?
La campagna agricola in Kenya, avviata nel 2022, sino a ora ha interessato circa 80 mila ettari e 100 mila piccoli agricoltori in oltre 20 contee con un trend in continua crescita. A oggi le performance sono in linea con gli obiettivi e registrano un progressivo miglioramento delle rese agricole.
La produzione di ricino dell'area di Nakuru, che ha una estensione di circa 3.500 ettari e dove sono stati coinvolti circa 2.700 piccoli agricoltori, è allineata con quella delle altre contee. Su circa 100 ettari della contea di Nakuru, dove sono coinvolti circa 170 agricoltori, è in corso un programma di miglioramento delle produzioni rispetto alla prima campagna grazie alla distribuzione di nuove sementi messe a disposizione da parte dell’aggregatore.
I contratti Eni con gli aggregatori prevedono che questi forniscano supporto agli agricoltori locali nelle attività di produzione.
Nei rapporti con i coltivatori locali Eni si è avvalsa della consulenza di un intermediario, la società SAFA. Con quali procedure è stata selezionata la società SAFA e che tipo di incarico ha avuto da Eni?
Per sviluppare la filiera del ricino in Kenya, Eni ha adottato un modello di business che prevede l’utilizzo di aggregatori/cooperative private e pubbliche per il coordinamento e la gestione dei piccoli agricoltori locali.
SAFA è uno degli aggregatori che opera in diverse contee del Paese ed è stata selezionata in accordo con il processo di qualifica Eni. Il contratto con gli aggregatori prevede la fornitura da parte di Eni delle sementi di ricino per la coltivazione e l’acquisto dei semi prodotti dagli agricoltori.
Eni ha verificato i risultati prodotti dalla società SAFA nella sua attività di intermediazione?
SAFA è un aggregatore e non svolge attività di intermediazione. Il contratto tra Eni e SAFA prevede clausole dedicate alla verifica del rispetto dei termini contrattuali.
Eni ha verificato quali sono le reali condizioni dei raccolti nella contea di Nakuru?
Eni ha sviluppato e implementato in Kenya, e quindi anche nella contea di Nakuru, un sistema di tracciabilità e di monitoraggio delle campagne agricole al fine di avere un riscontro puntuale sullo stato di avanzamento delle coltivazioni e, a fine stagione, sulla resa produttiva.