FAQ sulla CCS

Le risposte ai dubbi più comuni sulla CO₂ e sulle tecnologie di CCS, nel contesto della decarbonizzazione e della transizione energetica.

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Conoscere, valutare, comprendere: il dovere della chiarezza

I progetti di CCS sono pericolosi? E sono veramente utili? Che rischi o benefici comportano per il territorio che li ospita? Il dibattito sulla cattura e stoccaggio della CO₂ si arricchisce ogni giorno di più parallelamente alla realizzazione di nuovi impianti in questo settore. In questa sezione proponiamo una raccolta dei temi principali.

L’unica soluzione per eliminare le emissioni di CO₂ è abbandonare completamente i combustibili fossili?

La sostituzione delle fonti fossili con le rinnovabili è indispensabile per ridurre le emissioni climalteranti, ma non è sufficiente. In molti settori i combustibili fossili continueranno a essere utilizzati anche nel 2050: nelle industrie che hanno bisogno di energia intensa e costante (siderurgia, cemento, chimica, etc.), ma anche nei trasporti su larga scala e lunghe percorrenze (navi, aerei, camion). Nel rapporto Global Renewables Outlook: Energy Transformation 2050 pubblicato nel 2020, l’Autorità Internazionale per le Energie Rinnovabili (IRENA) prevede che, agli attuali ritmi di crescita, la percentuale di energia rinnovabile mondiale sarà del 38% al 2030 e del 55% al 2050. Considerando gli scenari più ambiziosi, si potrebbe arrivare al 57% e 86%. Anche nelle prospettive più ottimistiche, l’abbandono dei combustibili fossili avverrà gradualmente per cui è necessario pensare a soluzioni che possano limitare da subito le loro emissioni di CO₂.


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I progetti CCS sono pericolosi?

La CCS utilizza tecnologie sicure e fa tesoro dell’esperienza acquisita in oltre un secolo nello stoccaggio del gas naturale. La CO₂, inoltre, ha il vantaggio di non essere infiammabile, esplosiva o velenosa, tanto da essere utilizzata negli estintori e in ambiti comuni come la decaffeinizzazione, il ghiaccio secco, la pulizia a secco e, naturalmente, le bevande gassate.

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Cos'è la CCS 
  

Possono esserci fughe di CO₂ dagli impianti CCS?

Lo stoccaggio nei giacimenti esauriti è definitivo e sicuro. Non vi sono rischi di fuoriuscite perché i giacimenti sono sigillati in modo naturale: la prova è proprio il fatto che hanno già immagazzinato e trattenuto spontaneamente grandi quantità di gas naturale per milioni di anni senza che si creassero percorsi di fuga. 

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I progetti CCS provocano terremoti?

I progetti CCS previsti da Eni e Snam sono sicuri anche dal punto di vista del rischio sismico in quanto la normativa italiana recepisce le Direttive europee che impediscono di realizzare siti di stoccaggio in aree a rischio sismico elevato (rischio 1). Anche i giacimenti del ravennate destinati al progetto Ravenna CCS, quindi, non si trovano in aree a elevato rischio sismico. La CCS, tra l’altro, utilizza una pressione non superiore a quella del giacimento in origine, quando conteneva gas naturale. Durante la pluridecennale storia produttiva dei giacimenti a gas dell’offshore ravennate e nella baia di Liverpool, del resto, non si sono verificati terremoti riconducibili alle attività di estrazione.

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La CCS utilizza grandi pressioni che possono causare incidenti?

La pressione con cui la CO₂ viene iniettata nel sottosuolo è piuttosto ridotta. I giacimenti esauriti o in esaurimento hanno pressioni interne (pressione di fluidi di strato) inferiori o molto inferiori a quelle originarie (pressione idrostatica) per cui non sarà necessario raggiungere alte pressioni per poter iniettare la CO₂. Il volume di anidride carbonica da iniettare, inoltre, sarà molto inferiore al volume del metano che è stato estratto, in modo che non venga mai raggiunta la pressione originaria del giacimento.  

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Che controlli ci saranno sulRavenna CCS?

A ulteriore garanzia di sicurezza, in ogni fase del progetto Ravenna CCS saranno utilizzate le tecnologie di monitoraggio microsismico e di rilevazione delle deformazioni del suolo che vengono già impiegate nell’area del Ravennate per monitorare la subsidenza legata alle attività di estrazione del gas. Tali misurazioni, permanenti o periodiche, sono all’avanguardia per precisione e affidabilità. Utilizzandole da decenni, Eni ha accumulato molta esperienza sia nel loro utilizzo sia nell’interpretazione dei dati.

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Lo scopo nascosto della CCS è quello di produrre più idrocarburi?

La CCS non va confusa con la tecnologia Enhanced Oil Recovery (EOR) applicata negli USA per aumentare l’estrazione di petrolio attraverso l’iniezione di CO₂ in giacimenti attivi. Per quanto riguarda Ravenna CCS, lo stoccaggio avverrà in giacimenti di metano esauriti che verrebbero comunque dismessi completamente. Una volta convertiti allo stoccaggio dell’anidride carbonica, in ogni caso, non saranno più sfruttabili per alcun ciclo produttivo. 

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La CCS è una tecnologia non dimostrata?

La CCS è un processo maturo dal punto di vista tecnico, basato su tecnologie consolidate la cui applicabilità è ormai dimostrata da impianti in operazione da decenni. Attualmente nel mondo ci sono 33 progetti di CCS operativi per un totale di circa 40 milioni di tonnellate per anno (Mtpa). In Europa, in particolare in Norvegia, sono attivi gli impianti di Snohvit e di Sleipner, attivi dal 2008 e dal 1996. 

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Il contesto globale 

  

La reale quantità di CO₂ evitata è molto inferiore al 90%?

Anche tenendo conto delle emissioni dovute al consumo di energia per le operazioni di cattura e compressione dell’anidride carbonica, la riduzione netta delle emissioni raggiunge il 70-l’80%. La percentuale esatta di abbattimento dipende dalla tecnologia di cattura e dal processo industriale a cui viene applicata. Le tecnologie attuali permettono di catturare oltre il 90% dell’anidride carbonica emessa al camino, possibilità ampiamente dimostrata dagli impianti già operativi. Come tutti i processi industriali, anche la cattura della CO₂ e, in parte decisamente minore, la sua compressione richiedono energia, per cui possono comportare l’emissione in atmosfera di quantitativi di CO₂ che dipendono da come questa energia viene prodotta. Pur essendo già alto, in ogni caso, il rendimento delle tecnologie di CCS è destinato a migliorare grazie all’innovazione tecnologica e al progressivo incremento della quota di energia rinnovabile cui assisteremo nei prossimi anni, che renderà disponibile energia pulita anche per i processi di cattura da applicare alle industrie “hard to abate”.

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Quali Paesi applicano la CCS?

Sempre più governi sostengono direttamente progetti di CCS sul loro territorio per contribuire alla decarbonizzazione di interi distretti produttivi.

Gli Stati Uniti, con l’introduzione dell’Inflation Reduction Act nel 2022, ai progetti CCS sono concessi benefici fiscali oltre che fondi dedicati alla ricerca e ad investimenti nella tecnologia.
Nel Regno Unito il Governo ha delineato una strategia di decarbonizzazione con l’obiettivo di catturare e stoccare 20-30 milioni di tonnellate di CO₂ annuali al 2030, accompagnata da politiche a supporto del valore di circa 20 B£, per attrarre investimenti privati e diminuire il rischio di mercato.

La Norvegia sta partecipando direttamente agli investimenti che serviranno alla realizzazione del progetto CCS Longship, contribuendo circa per i 2/3 del valore complessivo dei costi.
Anche l'Unione Europea sta stanziando fondi, come l’Innovation Fund e il Connecting Europe Facility, che vengono periodicamente assegnati per una quota sempre più rilevante a progetti CCS.
Inoltre alcuni Stati membri dell'Unione, tra cui Olanda e Danimarca, hanno fornito significativi strumenti di supporto per lo sviluppo della tecnologia e dei progetti CCS che potranno contribuire al raggiungimento degli obiettivi nazionali di decarbonizzazione. 

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