Ripartire non è solo una questione di risorse. Lo insegna l’esperienza del dopo terremoto, con le macerie invisibili rimaste ancora oggi
Si fa presto a dire ripartenza. Una questione di risorse, certo. Ma la storia della più grave crisi che la regione, e in particolare il Potentino, ha vissuto prima dell’emergenza sanitaria, quella del sisma dell’Ottanta, racconta come la ricostruzione sprovvista di una cultura dello sviluppo, rimosse le macerie, ne lasci altre: aspettative evaporate e opportunità sprecate. Non è andato tutto male nel dopo terremoto. È stato il contesto della grande energia della ripartenza, più che il programma degli obiettivi immaginati dalla classe politica dell’epoca, a determinare una naturale scrematura tra un’economia di valore, nata in quegli anni, e il mercato famelico della catastrofe, che ha lasciato solo lavoratori in mobilità e strascichi giudiziari. La comunità lucana ha reagito con orgoglio e forza da molti punti di vista. Le case sono state rimesse in piedi sviluppando una cultura urbanistica che ha trasformato i centri storici fino ai fregi dei portali e ai vani finestre. Potenza ne è un esempio. Ma il piano per la realizzazione di nuove infrastrutture e aree industriali è ancora oggi il buco nero di cui si discute ogni 23 novembre. Il motore produttivo che si è messo in moto significa ancora oggi grandi eccellenze, come gli stabilimenti della Ferrero di Balvano e Sant’Angelo Le Fratte, e la stessa Sata di Melfi, nata sulla scia dei programmi di bilancio dell’epoca, insieme a tante piccole imprese lucane ancora in vita. Ma per il resto, il processo alla “fabbrica del terremoto” è una storia di macerie invisibili, di industrie della bancarotta e di capannoni abbandonati. E allora. Dai giorni di quell’emergenza è nato forse il patrimonio più grande della comunità lucana, quello della rete della solidarietà che poi ha dato vita alla Protezione civile come la conosciamo adesso. Questo patrimonio è stato il grande abbraccio sociale nei giorni di emergenza del Covid ed è un bene da tenere stretto. Occorre aggiungere una strategia lucida di modernità. Anche il più immaginifico piano di “riscoperta dei borghi” non potrà mai reggere se un nordeuropeo che decide di trasferirsi al sole di Maratea è costretto a girare ogni angolo del paese alla ricerca di una connessione di rete. Ripartire sì, magari con poche idee ma chiare e precise. Possibilmente senza cabine di regia e comitati di esperti.