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Monitoraggio ambientale, un progetto sfidante

Il presidente di Coldiretti Basilicata, Antonio Pessolani, spiega l’accordo con Eni, siglato nell'ottica della valorizzazione del territorio.

di Lucia Serino
19 ottobre 2020
6 min di lettura
di Lucia Serino
19 ottobre 2020
6 min di lettura

Eni e Coldiretti, industria energetica e agricoltura, qual è la circolarità che le fa incontrare? La giornata inaugurale di GEA, il centro di monitoraggio ambientale aperto nell’ambito del progetto Energy Valley, è stata anche l’occasione per spiegare che le due cose vanno, anzi, devono andare insieme. Perché una delle sentinelle ambientali naturali della Val d’Agri è proprio la qualità di ciò che ci restituisce la terra: latte, verdura e carne che finiscono sulle nostre tavole. L’ingegnere Antonio Pessolani è il presidente di Coldiretti Basilicata. Ecco come spiega l’accordo con Eni.

Partiamo dal concetto di “terra”: che si estragga o che si coltivi sempre la stessa terra è, solo che la percezione comune è che le estrazioni la impoveriscono e l’agricoltura la fa fiorire. Quindi questo matrimonio tra Eni e Coldiretti come si spiega? Quali sono gli obiettivi?

Da anni ormai il dibattito sul tema “estrazioni sì, estrazioni no” anima la nostra regione. Tale dibattito nasce spesso da pregiudizi sulle possibili conseguenze per la salute umana e ambientale che dalle estrazioni potrebbero derivare.

Spesso abbiamo assistito a un dibattito sterile non fondato su evidenze scientifiche, il più delle volte riconducibile a posizioni estreme e strumentali. Da questo sistema di informazioni viene fuori quasi naturale l’assioma che la Basilicata è Eni e che i suoi prodotti sono meno salubri, basti pensare ai superficiali e improvvisati articoli dei media di alcuni anni fa sul latte o sulla carne della Val d’Agri.

Per uscire da queste informazioni fuorvianti la Coldiretti ha lanciato la sfida, accettata con grande attenzione da Eni, di stringere un accordo basato su due punti: monitoraggio continuo dei prodotti, valorizzazione del territorio e delle produzioni locali.

Come funziona il progetto di biomonitoraggio della qualità dei prodotti della filiera latte e carne nelle zone estrattive?

La Coldiretti ha inteso metterci la faccia e dimostrare scientificamente la qualità dei propri territori e prodotti. A tal fine, ha proposto un modello di monitoraggio innovativo basato su “animali sentinella”. Si è preso a modello il sistema dell’allevamento estensivo della Podolica. Sui bovini è stato installato un device tecnologico consistente in un collare Gps. Il collare traccia gli spostamenti dei bovini dandoci contezza delle zone in cui vivono e si alimentano. L’erba ingerita, attraverso migliaia di cam­pionamenti giornalieri, viene sintetizzata nel grasso e quindi, analizzando quello che si trova nel latte e nella carne, riusciamo ad avere dei dati scientifici sulla qualità di questi prodotti. Attraverso la combinazione con i dati provenienti dalle centraline ambientali e dalle analisi sui licheni, riusciamo a mettere in evidenza lo stato di salute dell’ambiente circostante le aree estrattive.

Insomma un’agricoltura 4.0. A che punto è la digitalizzazione del sistema agricolo lucano e soprattutto quali vantaggi comporta?

L’innovazione tecnologica è fondamentale in agricoltura e, soprattutto, è un elemento imprescindibile per tutto il sistema. Basti pensare ai passi da gigante fatti nella meccanizzazione, in particolare con le trattrici che oggi arano i campi senza agricoltore. Gli agricoltori, in questo caso, vengono sostituiti alla guida da centraline elettroniche che sfruttano satelliti e localizzatori Gps.

Altra innovazione è quella dei droni, che porta alla valutazione dello stato di salute dei campi coltivati attraverso delle rilevazioni giornaliere. Potrei elencare un’infinità di tecnologie già oggi applicate all’agricoltura.

In Basilicata siamo a buon punto, ogni anno selezioniamo, attraverso gli Oscar Green della Coldiretti, progetti innovativi in agricoltura presentati da start up di giovani. L’innovazione proposta nel biomonitoraggio con Eni è proprio frutto di questo premio prestigioso della Coldiretti. Una start up innovativa, Boote, ha proposto questo sistema di localizzazione dei capi bovi (boote collar) che sarà utilizzato dagli allevatori per monitorare e governare la mandria a distanza. Questo sistema è anche quello utilizzato nel primo esperimento di biomonitoraggio con Eni.

“Io sono lucano” è da tempo la vostra campagna amica, che è rivolta innanzitutto al mercato interno. Con quale forza i prodotti lucani riescono a imporsi sui mercati oltre la Basilicata? Cosa serve secondo lei?

Io sono lucano” è un grande e ambizioso progetto della Coldiretti, oggi direi unico nel suo genere, che mette insieme sette filiere agricole in un contenitore che è “La Nuova Aurora”, società consortile agricola. L’identità e l’appartenenza a un territorio di un prodotto è fondamentale per la sua valorizzazione. La biodiversità del paese Italia ci consente di declinare il tutto a livello regionale e sfruttare la nostra orografia, la nostra storia, la nostra cultura per meglio narrare e raccontare un prodotto. Ecco, “Io sono lucano” è un’emozione dettata dalla salubrità e dalla storia del nostro territorio. “Campagna Amica” è il grande contenitore e divulgatore dei contadini con i prodotti a km 0 che tanto vantaggio all’agricoltura italiana sta adducendo. “Io sono Lucano” ha l’ambizione di ampliare l’offerta dei prodotti, non solo dei contadini, ma anche di player dell’agricoltura più organizzati e strutturati. Quindi, predisponendo le varie filiere, saremo in grado di raggiungere la media e grande distribuzione, oltre al sistema Ho.re.ca (Hotellerie, Restaurant e Cafè), con tutta la gamma dei prodotti lucani certificati.