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Iscrizioni Unesco come fattore di sostenibilità e progresso

Dall’esclusione di alcuni tratti lucani e pugliesi della Regina Viarum a una lettura innovativa dei cammini dei popoli lucani. L’architetto e urbanista Pietro Laureano, consulente Unesco, si sofferma sul tema della sostenibilità come benessere delle comunità

di Luigia Ierace
25 settembre 2024
7 min di lettura
di Luigia Ierace
25 settembre 2024
7 min di lettura

Le iscrizioni Unesco sono un elemento fondamentale di attuazione di programmi di auto sostenibilità economica e ambientale. Lo dimostra Matera che rappresenta uno dei casi più eclatanti di quanto le stesse iscrizioni siano un elemento determinante per la protezione e rigenerazione di siti, centri storici e intere aree territoriali e di quanto in questo percorso sia determinante il loro essere espressione di una comunità.

“Ma per arrivare a tale risultato - spiega l’architetto e urbanista Pietro Laureano, consulente Unesco - le candidature devono essere corredate da un piano di gestione che dimostri come il sito candidato possa conservare nel tempo i valori proposti e come questi divengano un elemento di sostegno civile e economico per la comunità affrontando un percorso autopropulsivo in linea con gli obiettivi delle Nazioni Unite dello Sviluppo Sostenibile”.

Solo superando la nozione del bene cultura come monumento e privilegiando i valori del territorio e del paesaggio, infatti, si può generare un processo di sviluppo locale sostenibile. Il caso della recente iscrizione della via Appia e dell’esclusione di alcuni territori è esemplificativo di questa problematica.

Il tracciato iscritto nella lista Unesco comprende, in Basilicata, solo un piccolo tratto a sud di Melfi e a nord di Rapolla, per passare dentro Venosa e poi continuare nell’alta valle del Bradano, a nord di Palazzo S. Gervasio e Banzi. È lambita la parte settentrionale della Provincia di Matera senza passare dalla città per proseguire in direzione di Taranto, senza comprendere Gravina in Puglia.

“La via Appia – spiega Laureano - è stata proposta come segno della civiltà romana e alta espressione di capacità tecnica e ingegneristica, cioè nel suo aspetto di opera materiale e monumentale di un determinato periodo storico. In questo contesto non potevano che essere esclusi tutti i tratti dove non vi era presenza concreta di manufatti, tracciati o monumenti romani”.

“Ma la complessa realtà e dimensione allargata di una via di comunicazione – continua il consulente Unesco - non è mai riconducibile a un semplice basolato o tracciato. Una via è soprattutto un’espressione culturale che riflette i momenti storici, i cambiamenti delle civiltà mettendo in relazione luoghi e condizioni, includendo, valorizzando o aggredendo territori e modi di vivere”.

Comprende strutture, monumenti e centri storici distanti, e anche il sistema di relazioni veicolate e gli impulsi dati alla società e la produzione. La strada, ribadisce Laureano, “è tutto questo: le motivazioni sociali, spirituali e produttive che l’hanno generata e di coloro che la percorrono; la concretizzazione nel territorio della visione del mondo del sistema di potere; le sensazioni, il desiderio e il sogno della comunità; la voglia di cambiamento, aspirazioni, incontri, comunicazione con luoghi lontani generati dal viaggio; le esperienze, conoscenze e interazioni tra i viaggiatori che innescano una duratura e positiva influenza nell’ambiente, la storia ed il mito”.

In quest’ottica è evidente che non sono Patrimonio i soli basolati e le massicciate ma la via come espressione di relazioni e paesaggio culturale, i luoghi vivificati con il suo percorso, le architetture e complessi paesaggisticamente collegati, le modificazioni territoriali prodotte.

E proprio alla luce di queste considerazioni si riescono a comprendere i motivi dell’esclusione dei tratti lucani e pugliesi. “Sarebbe stato opportuno – dice Laureano - affrontare l’iscrizione della via Appia in questa dimensione allargata proponendo una candidatura innovativa, anche se meno facile, basata sul significato profondo delle vie di comunicazione come espressioni della comunità, la sua identità e genesi”.

In sostanza, guardare ai Cammini dei Popoli Lucani come candidatura espressione della comunità con “i suoi itinerari agro pastorali, assi di relazioni e scambio, cammini sacri di pellegrinaggio che hanno forgiato e realizzato il sentire comune e si costruito la cultura e il Patrimonio”.

E la documentazione non manca. Studi, scavi archeologici, ricerca delle Soprintendenze e della Università hanno documentato e dimostrato come “la variegata, accidentata e splendida orografia della regione, immersa tra due Mari al centro del Mediterraneo, è stata la base per la formazione di comunità, forme sociali, villaggi e città, basate sui cammini e la transumanza, che hanno espresso adattamento ambientale, armonia e bellezza”. La Basilicata, oggi così penalizzata nelle infrastrutture e nei collegamenti, guardando al passato racconta un’altra storia e un’altra centralità. “I Lucani, maestri dei cammini - sottolinea Laureano - controllano i collegamenti tra le colonie greche del Tirreno e dello Ionio e la regione acquista ruolo e dimensione internazionale mettendo in rapporto il Mediterraneo occidentale con quello orientale attraverso una via istmica terrestre. Gli antichi popoli della Lucania avevano mantenuto ruolo e indipendenza tra il mondo Etrusco e la Magna Grecia proprio grazie al controllo di questa rete dei percorsi che attraverso la regione permettevano di raggiungere le due parti del Mediterraneo, andando da Metaponto a Paestum ed Elea, senza essere costretti a compiere la circumnavigazione della Calabria”.

I Lucani «padroni degli itinerari impervi di montagna di cui soli conoscevano e tramandavano gli accessi». Organizzati in comunità autonome e distinte secondo le vallate stipulavano patti e alleanze nei momenti d’incontro per le celebrazioni e i riti lungo i percorsi e nei templi sulle cime elevate. «Gli stessi santuari e antichi itinerari sono utilizzati per i Cammini dei pellegrinaggi di epoca medievale lungo i quali si sono create quelle relazioni e rapporti internazionali e comune sentire di fede, volontà e azioni che ha portato alla rinascita europea». E quello che rende questi tracciati unici è che sono percorsi ancora oggi fondamentali nel convergere dei devoti da tutta la Lucania antica al Santuario della Madonna Nera del Sacro monte di Viggiano.

Un’esclusione allora dinanzi alla quale la Basilicata non si deve fermare ma deve guardare avanti perché le caratteristiche corrispondono perfettamente alla categoria di iscrizione propugnata dall’Unesco delle Strade del Patrimonio. «Questa tematica – continua Laureano - potrebbe costituire un’ottica avanzata, innovativa e multidimensionale per completare l’iscrizione della Via Appia con una narrazione dei sistemi di comunicazione più allargata, complessa e consona alla storia e cultura lucana».

Promuovendo questa candidatura si realizzerebbe un’iscrizione promossa dal basso come espressione di comunità. «La Regione Basilicata – auspica Laureano - potrebbe guidare il processo avviando un tavolo di riflessione e propulsione su tutte le candidature possibili che, oltre quella sui Cammini, incluso le Rabatane, Pitagora, Maratea, i Calanchi, la Murgia e le Gravine sono tutte di grande significato».