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Le 5 “D” che rafforzano la competitività turistica

È un “turismo che cambia e si innova” quello che emerge dall’ultimo rapporto SRM, il Centro Studi collegato a Intesa Sanpaolo. Una fotografia del turismo nel Mezzogiorno che evidenzia quali sono le sfide che attendono il Paese e la Basilicata, in particolare. Ne parliamo con Salvio Capasso, responsabile servizio, imprese e territorio SRM

di Luigia Ierace
20 settembre 2024
14 min di lettura
di Luigia Ierace
20 settembre 2024
14 min di lettura

Si gioca sulle “5 D”, ovvero i 5 driver del turismo, la sfida della Basilicata per preservare e rafforzare la competitività turistica dei territori. Diversificazione, delocalizzazione, destagionalizzazione, digitalizzazione e dimensione d’impresa: sono le parole chiave per un sistema di offerta turistica di qualità secondo il rapporto SRM, il Centro Studi collegato a Intesa Sanpaolo, “Turismo & Territorio”, che fotografa il sistema turistico in Italia e nel Mezzogiorno per il 2024. Crisi geopolitiche, effetti climatici estremi, aumento dei costi e forte attenzione alla sostenibilità impongono un mutamento di passo e un “turismo che cambia e si innova” diventa il leitmotiv del report. Ne parliamo con Salvio Capasso, responsabile servizio, imprese e territorio SRM.

 

Cambiamento e innovazione: due concetti fondamentali per disegnare le nuove strategie del settore?

«Ci troviamo di fronte a un turismo che cambia, perché stanno mutando tutte le condizioni di contesto: geopolitico, economico, tipologia di turisti; e che si innova rapidamente per poter affrontare le sfide della digitalizzazione che richiederà inevitabilmente nuovi “talenti”: figure di qualità, esperti nella gestione di numeri, dati, informazioni, intelligenza artificiale, innovazione e sostenibilità».

 

Ma la Basilicata come si deve preparare ad affrontare questa sfida?

«È una realtà piccola ma con elementi caratterizzanti rispetto ad altre regioni e attrattori significativi. Partiamo dalle potenzialità. Nel suo piccolo può offrire il polo culturale di Matera, il mare e le aree interne, oggi molto di moda. Ci sono molti borghi con aspetti poco conosciuti che potrebbero essere sviluppati. Dal nostro studio emergono due fenomeni che si leggono chiaramente: a livello di numeri, si vede che il 2019 è stato un anno particolarmente intenso per tutto il turismo nazionale e per il Mezzogiorno e, in particolare, per Matera Capitale europea della cultura con un grande fervore di attività. Poi il Covid ha portato a una forte riduzione. Adesso i numeri dicono che al 2023 non si sono ancora raggiunti in media regionale i dati del 2019 per presenze e arrivi, ma la dinamica è migliorata e sta crescendo».

 

Un recupero non ancora pienamente raggiunto in Basilicata?

«Il tema fondamentale è valorizzare al massimo quegli attrattori lucani. Il valore economico che il turismo può dare alla Basilicata è un valore di impatto, di crescita del pil e si può raggiungere solo se si ampliano tutte quelle destinazioni che creano grande valor, legate a tradizioni, storia, cultura, enogastronomia, di cui la Basilicata è ricca e che vanno rafforzate dopo il rallentamento per il Covid».

 

In Basilicata il Pil turistico sul totale dell’economia pesa per il 4,4% contro 5,8% in Italia?

«Ci può stare per la Basilicata che ha anche altri attori importanti settori che incidono sul Pil come ad esempio, il manifatturiero. Fondamentale per noi è il moltiplicatore di presenza turistica che evidenzia la relazione tra il turismo - specie di qualità - e la crescita economica dei territori. E quindi l’importanza di alcune nuove leve per l’attrattività turistica, quali le aree interne, il turismo sociale e quello enogastronomico. Il punto di partenza è proprio il moltiplicatore di presenza, il valore in euro per presenza aggiuntiva, che in Basilicata è pari a 121, 7 euro rispetto alla media italiana che è di 144,1 per ogni notte passata da un turista, indipendentemente da quanto spende. Non interessa l’aspetto della spesa, ma cosa fa il turista: acquisti, va al ristorante o in locali, attiva filiere produttive e altro. Questo dato indica che in Basilicata crea ricchezza in misura inferiore rispetto al Paese, ma anche al Mezzogiorno dove lascia 131 euro, con un peso importante in Campania».

 

Come aumentare l’impatto economico del turista in Basilicata?

«Va spinto verso quelle forme di turismo che sono più ricche, che generano l’attivazione di più filiere intorno, perché il turista balneare puro è fondamentale, ma il peso del turista culturale, enogastronomico, di affari è diverso. Si tratta di forme di turismo che a parità di presenza, generano più ricchezza. Questo deve essere l’obiettivo, già partito con Matera 2019, con i grandi eventi culturali, poi fermati dal Covid. È un percorso che consente alla stessa presenza di produrre più ricchezza, più valore sul territorio. Altro tema è quello delle presenze assolute. E non avendo ancora raggiunto il valore del 2019 c’è ancora il margine per politiche turistiche significative».

 

In un territorio così piccolo è evidente che la pressione del turismo è molto bassa?

Le presenze per kmq sono molto basse per la conformazione della Basilicata che fa sì che i turisti si concentrino in alcune aree e non in tutte. E la presenza per abitanti fa immaginare, che il concetto di overtourism qui non esista. Forse poteva esserlo a Matera, ma non lo è stato. Quindi la Basilicata ha due aree di azione: una è puntare ad aumentare le presenze e ci sono i margini per fare politiche anche di diversificazione, delocalizzazione, destagionalizzazione per aumentare le presenze. L’altra è renderle sempre più qualitative in modo che diano più valore».

 

Ma quasi totalità dei turisti in Basilicata si concentra nel periodo centrale dell’estate.

«La Basilicata non deve avere grandi numeri ma puntare alla qualità dell’impatto economico che il turismo può dare, quindi la strada è ridurre la stagionalità e aumentare le presenze straniere. Sì il mare, ma le principali forme di attrazione del turista straniero sono le tradizioni, la cultura, la gastronomia: sono i motivi fondamentali per cui gli stranieri vengono in Italia. E il fatto che le presenze straniere del 16,9% è un dato in crescita questo è sicuramente un dato da evidenziare».

 

Presenze straniere, stagionalità, permanenza media sono tutte prospettive da mettere in campo, quindi?

«Sfortunatamente il Covid è arrivato proprio nel periodo in cui si poteva sfruttare al meglio la spinta di Matera 2019, ma questo non vuol dire che i numeri non siano comunque positivi e che non si possa fare meglio e di più. Ora bisogna ragionare in ottica di qualità turistica. Dobbiamo direzionare il turista in quelle aree dove c’è più impatto economico, in quei territori dove c’è meno pressione sulla cittadinanza, in aree interne e borghi. E l’Italia, come la Basilicata, ha il vantaggio di avere tantissime zone da poter essere visitate che hanno tradizione, storia e cultura. Non è certo facile creare percorsi, c’è bisogno anche della connessione, dell’accessibilità di questi territori e di politiche anche infrastrutturali e di mobilità, ma le potenzialità ci sono e la Basilicata ha dimostrato nel 2019 di essere attore rilevante e credo lo possa fare ancora nel futuro».

 

I numeri del 2022 e del 2023 sono positivi e le stime 2024 di SRM sul trend di presenze?

«Prevediamo una crescita del 3,6 in Italia, del 3,3 nel Mezzogiorno, del 2,8 in Basilicata. Si potrebbe fare ancora di più, ma ribadisco non è tanto la quantità, quanto la qualità che dobbiamo saper mettere in pratica con politiche che possano attrarre turisti di un certo tipo, che abbiano voglia di girare il territorio, di conoscerlo, di avvicinarsi alle tradizioni, alla cultura, all’enogastronomia».

 

Eppure gli operatori non sono ottimisti, temono ripercussioni sulla scelta di andare in vacanza per effetto delle diverse crisi anche climatiche che hanno interessato il Paese?

«Il turismo è fortemente resiliente, tranne il 2020 ma è evidente con il Covid, e lo ha dimostrato il recupero successivo talmente dirompente, anche fuori delle previsioni. Questo fa capire che il turista ha voglia di viaggiare indipendentemente da tutto. E non solo SRM, ma tutti i centri di ricerca ritengono che la crescita ci sarà anche considerando le attuali situazioni di difficoltà. Certo a cifre più ragionevoli, ai ritmi naturali pre-covid, non a quelli del 20% che erano di recupero. È vero che il turismo vive di sensazione, ma avendo la Basilicata un turismo per lo più domestico e anche di prossimità, dalle vicine regioni, è anche più solido e resistente a queste dinamiche nazionali. È un limite da un lato ma una forza dall’altro».

 

Insomma una Basilicata, come emerge, dallo studio che non spicca in termini di quantità, ma di qualità?

«C’è una maggiore ricerca di un turismo di una certa qualità, direi ad alto stellaggio. Matera è un punto di eccellenza a livello internazionale, un faro che la Basilicata ha rispetto ad altre regioni e che deve diventare un valore per tutta la regione, per il mare e per l’entroterra lucano. Certo per le dimensioni della Basilicata non bisogna attendersi cifre elevatissime, ma c’è un percorso da fare notevole per poter alimentare questa potenzialità, attivando e stimolando il turismo straniero».

 

Lo dicono i numeri della permanenza media più bassa rispetto al resto del Paese?

«È di 2,8 giorni contro i 3,3 italiani. Il turista si ferma una o due notti a Matera, il classico weekend e se considera il valore economico che lascia ogni notte un turista è evidente che farlo stare un giorno in più, vuol dire aumentare del 30% il valore della sua presenza sul territorio. E questo vuol dire che bisogna ampliare l’offerta per spingerlo a restare».

 

Dal faro di Matera a quello di Maratea?

«Non ha perso la sua peculiarità. Rimane un faro dal punto di vista balneare, ma la cittadina tirrenica dovrebbe avere politiche di marketing territoriali ancora più significative, perché andare a Maratea solo per il mare ha certamente un valore, ma la possibilità di collegarlo ad altre forme di turismo legate all’enogastronomia, alle aree interne, ai borghi, darebbe quel valore aggiunto necessario per crescere».

 

Quanto ha pesato in negativo le infrastrutture, dall’Alta velocità, alla chiusura della SS 18 Tirrena Inferiore e in chiave positiva l’avvio dell’aeroporto di Salerno?

«L’accessibilità incide sempre. Se arterie importanti si bloccano questo pesa ancor più sull’andamento turistico. Certo avere un aeroporto a Salerno nella logica di servire la parte sud della Campania, la parte tirrenica della Basilicata e l’alta Calabria dovrebbe fornire un grandissimo vantaggio. È vero che ci vuole l’ultimo miglio. I voli sono partiti a stagione iniziata, si vedrà l’anno prossimo, ma se va nella direzione di attrarre vettori significativi da area anche internazionali di interesse, anche l’ultimo miglio si risolve con politiche territoriali turistiche regionali».

 

Pochi numeri ma interessanti quelli delle presenze straniere in Basilicata?

«Sono significative le provenienze. Sono tornati gli americani, secondi dopo i francesi. Dagli Stati Uniti arriva il 13,3% di stranieri. Al primo posto la Francia con il 14,8%. Seguono Germania e Regno Unito. Il turismo meridionale nel contesto europeo è ben posizionato ma con ampi margini di miglioramento e di crescita in termini quantitativi e qualitativi. Emerge la necessità di migliorare ed ampliare la connessione internazionale e l’accessibilità del territorio. Guardando al ranking europeo di competitività turistica 2022, un indice che calcola SRM, su 98 regioni dell’area UE4 (Italia, Spagna, Francia e Germania) tre regioni del Sud (Sardegna, Campania e Puglia) sono tra le prime 30, e la Sicilia è trentunesima, per livello di competitività turistica e ben 6 comunque sono sopra la media europea. La Basilicata è all’80° posto nell’indice di competitività turistica (ICTR) ma questo dipende dalle dimensioni che la penalizzano, anche se guardando al primato della città di Bolzano è evidente che questa non rappresenta un limite. Si può avere tanto turismo e un impatto economico importante facendo politiche adeguate alle caratteristiche della Basilicata».

 

Diamo uno sguardo ai fatturati?

«Stanno migliorando. C’è stata la ripresa dei prezzi, significativa, per coprire le difficoltà del periodo post Covid. Sono aumentati in tutta la filiera quindi si può dire che il fatturato è in crescita anche a ritmi superiori rispetto alle presenze. Ma bisogna stare attenti a non esagerare nelle politiche di prezzo e trovare il giusto equilibrio prezzo-qualità. Da una parte è giusto che ci sia un aumento per far fronte ai maggiori costi, però non bisogna andare oltre quel livello al di là del quale poi quel prezzo diventa un boomerang, per effetto del quale poi a cascata c’è la caduta delle presenze. La concorrenza sta riaprendosi, anche nel nord Africa e adesso il mercato è molto contendibile, quindi i turisti stranieri fanno poco a spostarsi da una parte all’altra. Bene le politiche di prezzo, anche alto, quindi, ma associato a qualità alta, altrimenti sarà un boomerang».

 

Poi c’è il tema dell’occupazione nella filiera turistica?

«Emerge dalle imprese in tutte le parti d’Italia un grande difficoltà a trovare occupazione. La domanda è elevata e l’offerta difficile da trovare, sia quella tradizionale che quella di qualità. Non è solo questione di salari, ma è difficile trovare le persone. Tutta la filiera fa fatica, soprattutto quella dell’operatività e recettività (dai camerieri ai facchini), ma anche nelle specialistiche si trovano difficoltà anche se ben pagate. Un tema importante perché il turismo, nelle realtà più grandi si sta aprendo ai temi della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale, e si cercano figure molto specializzate. Ancora una conferma che il turismo sta cambiando e si sta innovando moltissimo».