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La ricchezza della biodiversità lucana

Centinaia di varietà vegetali ma anche animali recuperate e mappate dall’Alsia grazie ai contadini custodi e a nuovi innesti in laboratori regionali

di Lucia Serino
10 giugno 2024
8 min di lettura
di Lucia Serino
10 giugno 2024
8 min di lettura

L’isolamento della Basilicata ne ha salvato la biodiversità. Cosa vi dice il capretto delle dolomiti lucane tanto ricercato, vegetariani permettendo, sulle tavole di Pasqua? E il suino nero? E la castagna ’nserta? Nel registro dei prodotti lucani tipici, a forte identità locale, tra i peperoni cruschi e i fagioli di Sarconi c’è tutto un ventaglio vastissimo di agrodiversità: la melanzana rossa e i fagioli bianchi di Rotonda, la pera Signora, la farina Carosella del Pollino, la segale Iermana e tante altre specie vegetali che si sono conservate grazie alla custodia della tradizione da parte delle famiglie rurali lucane e poi con una azione capillare e mirata di recupero, catalogazione e conservazione delle diverse specie. 

Dal punto di vista del paesaggio, la Basilicata presenta un territorio molto ricco e svariato di habitat naturali. Dalle praterie montane alle splendide faggete, passando per le cerrete sulle pendici dell’Appennino lucano centrale, ai boschi di abete bianco, alle valli percorse da fiumi che costituiscono l’habitat naturale della lontra e della salamandrina terdigitata, veri e propri fiori all’occhiello della fauna lucana. La differente variabilità floro-faunistica è presente soprattutto nei due parchi nazionali (Pollino e Appennino Lucano Val d’Agri Lagonegrese), nei due parchi regionali (Chiese Rupestri del Materano e Gallipoli Cognato Piccole Dolomiti Lucane e l’istituendo Parco del Vulture) e nelle riserve naturali. Nel complesso questi costituiscono il 20% circa del territorio regionale. Di grande aiuto, se non indispensabili, sono stati i volumi che la Regione Basilicata ha dedicato alla biodiversità con il progetto Intesa Natura 2000. In queste pubblicazioni, i siti di Rete Natura 2000 sono stati raccontati attraverso 3 volumi: Coste e rilievi costieri tirrenici, le Colline e fondovalle e le Montagne e complessi vulcanici. Una mappa che racconta la ricchezza ambientale della Basilicata, le specie protette, quelle che sono state salvate attraverso progetti specifici. 
Quali sono questi progetti e qual è il patrimonio identitario della “terra” lucana? Ad oggi il Repertorio regionale delle risorse genetiche autoctone di interesse agricolo è un archivio della premodernità. Mai, come in questo caso, la posizione geografica interna della Regione è stata una fortuna, diventando la garanzia di una straordinaria biodiversità. La difficoltà orografica, la scarsa industrializzazione, la posizione delle zone silvestri, anche il succedersi del passaggio dei popoli hanno creato una ricchezza di piante e animali arrivata fino a noi.

Una ricerca dell’Alsia (l’Agenzia regionale per l’innovazione in agricoltura) ricostruisce che solo negli anni Cinquanta, per l’introduzione dei fitofarmaci in agricoltura e l’uso di macchine sempre più potenti, si arrivò a una selezione delle varietà coltivate finora, puntando su quelle a maggiore redditività, trascurando via via le altre. Anche con gli allevamenti è andata così. Iniziarono, in quell’epoca, processi di contaminazione e di erosione genetica che hanno reso via più fragile l’intero sistema agricolo. 
La fine della coltivazione o dell’allevamento di una varietà comporta la scomparsa dei geni in esse contenuti, con il conseguente impoverimento anche delle risposte che esse potrebbero dare a mutate situazioni ambientali, come ad esempio ai cambiamenti climatici. Da questo punto di vista, la biodiversità del Parco del Pollino è utilissima a capire l’adattamento ambientale che le antiche faggete, ad esempio, hanno avuto nel corso dei secoli.
Per fortuna, per tornare agli allevamenti, specie come il suino nero e la capra di Potenza non si sono estinti; si sono perse però altre varietà di maialini (razza Cavallina e Mascherina ad esempio) ma anche legumi, ortaggi, cereali. L’impoverimento della biodiversità ha fatto correre tutti ai ripari. Anche in Basilicata c’è stato un grande sforzo di istituti ed enti di ricerca (Università, Agrobios, Cnr ma soprattutto l’Alsia) per andare innanzitutto a individuare e a mappare le antiche varietà.

Con la legge regionale n. 26 del 14 ottobre 2008 (“Tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario”), la Regione Basilicata è intervenuta a difesa del proprio patrimonio di risorse genetiche autoctone animali e vegetali, d’interesse agrario e zootecnico minacciate di erosione genetica, a causa del loro abbandono.
E da allora gli investimenti non sono mancati. L’ultimo progetto è di qualche mese fa. La Regione ha infatti dato avvio alla nuova programmazione comunitaria nel campo della tutela della biodiversità nelle aree naturali protette e nei siti ‘Natura 2000’ approvando una misura che si innesta su una più ampia strategia che ha visto il recente riconoscimento di altri 6 siti di interesse comunitario e la redazione del progetto della Rete ecologica regionale all’interno del Piano paesaggistico approvato in Giunta nei mesi scorsi. Tutte azioni tese a tutelare il grande patrimonio naturale, riconosciuto a livello europeo, di cui la Basilicata è ricca. La misura prevede una procedura negoziale concertata con i 5 Enti Parco presenti in Basilicata, 2 nazionali e 3 regionali con un primo stanziamento di 9 milioni di euro (Obiettivo Specifico 2.7 del PR Basilicata FESR FSE+ 2021/2027 – Azione 3.2.7.A).

Facciamo, però, un passo indietro e torniamo ai nostri contadini custodi. Il principio di tutta la campagna avviata e sostenuta negli anni è stato che una perdita o una significativa riduzione della biodiversità agricola non equivale semplicemente ad un depauperamento dell’ambiente, ma mette a rischio risorse naturali fondamentali per lo sviluppo sociale ed economico di molte zone del territorio lucano. 
Il primo progetto dell’Alsia risale al 2009. Tutto il territorio del Parco nazionale del Pollino ricadente nel versante lucano e quello dei comuni calabresi di Mormanno, Laino Borgo e Laino Castello, fu diviso in quadranti di 16 km quadrati, e in ciascun quadrante fu individuato perlomeno un sito di campionamento. Nei quaderni Ispra (n. 10 del 2018) si legge che in “ciascun sito si procedette a mappare anche geograficamente le piante di fruttiferi, a classificarle dal punto di vista delle varietà, a registrarne il nome vernacolare ricordato dall’agricoltore custode, ad effettuare un ampio album fotografico, a registrare su uno specifico database tutte le informazioni raccolte. Il metodo di campionamento eco-geografico fu integrato dalla collaborazione di una rete di agricoltori custodi, che in seguito dettero origine all’Associazione Vavilov, che agevolarono il lavoro di esplorazione dei siti ed i rapporti di comunicazione con gli attori locali intervistati”.
Il mondo rurale e boschivo lucano che si apriva per la prima volta alla ricerca era vasto, ricchissimo, un mosaico. Nel Parco Nazionale del Pollino c’era l’ager (campo arato), l’hortus (giardino), il saltus (pascolo), la silva (bosco). Furono censiti 119 siti, in cui furono rilevate 34 differenti specie e 512 varietà. Nel 2012 l’attività di mappatura fu allargata anche al territorio del Lagonegrese/Valle del Noce, contiguo con quello del Pollino, e furono censiti altri 43 siti di campionamento.

L’aspetto più interessante del progetto è quello legato agli agricoltori, ma anche alle semplici famiglie rurali custodi di tradizioni ai quali fu chiesto di continuare a coltivare le loro antiche varietà. “I nomi delle varietà descrivono l’uso (castagna Nserta), la funzione (pero Zilarello, pero Pastorigna), la morfologia (pero Codilunga, ciliegio a Core, olivo a Fasulo), la dimensione (pere Trentatrejonce, melo fruttscidd), la produttività (melo Meraviglia, uva Cacciadebiti) o l’epoca di maturazione dei frutti (pero Vendemmia, fico Agostarico).
Ma l’Alsia ha fatto di più. Ha messo su un’azienda agricola sperimentale dimostrativa, a Rotonda, sede del Parco del Pollino, per innesti destinati allo studio e alla conservazione. Il progetto, denominato BasivinSud, fu realizzato su finanziamento della Regione Basilicata con la collaborazione dell’“Unità di ricerca per l’Uva da tavola e la Vitivinicoltura di Turi” e del “Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria”, e si estese presso aziende agricole di altri territori regionali tra cui la Val d’Agri, il Vulture e la Collina materana. Attualmente l’Alsia ha 5 centri di conservazione dove trovano collocazione 392 varietà di fruttiferi appartenenti a 12 differenti specie.