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Un ingegnere per la biodiversità

Michele Massimo Simonetti, responsabile dell’unità Cosvit (Comunità e sviluppo del territorio). Coordina molti progetti tra cui Agrivanda

di Lucia Serino
21 giugno 2024
6 min di lettura
di Lucia Serino
21 giugno 2024
6 min di lettura

Quarant’anni questo mese, a giugno. Un ingegnere formato in Basilicata e rimasto in Basilicata, con una concentrata ma intensa esperienza internazionale dall’altra parte del mondo, in Nuova Zelanda. “Costruttore” di dialogo col territorio, aperto alla diversità e legato al tempo stesso al “suo” territorio, le sue origini, la sua città, la sua storia familiare. Una traccia che lo ha formato, segnato, e gli ha dato la rotta.

Michel Massimo Simonetti, lucano di Melfi, laureato all’Unibas dove è rimasto per un dottorato di ricerca e poi, da assegnista, “spedito” per sei mesi in Oceania per progetti di collaborazione universitaria in materia di sostenibilità e interventi di sicurezza antisismica. 

“Lì ho imparato a stare con gli altri, ho imparato cosa significa il confronto con culture differenti, mi sono allenato all’ascolto, alla soluzione dei problemi. E’ stata una palestra che mi è servita quando poi sono arrivato in Eni, ero in qualche modo attrezzato al rispetto di quei valori che ho ritrovato qui e che sono la nostra grande forza caratterizzante e distintiva”

Quando è come è arrivato in Eni?

“Nel 2018, ad agosto, avevo già una mia storia professionale alle spalle. Ho risposto all’avviso di ricerca di un profilo che coincideva con il mio. E così è iniziato l’iter di selezione”.

Sempre al Distretto meridionale?

“Sì, sempre al Dime. Dal 2021 sono il responsabile dell’unitàCosvit, che si occupa dei progetti di comunità e sviluppo del territorio, molto orientati su obiettivi di sostenibilità insieme ad altri soggetti che di questi progetti sono partner”.

Mi spieghi meglio le funzioni della sua unità.

“Abbiamo due grandi obiettivi. Per i progetti non gestiti da Eni, cioè quelli in cui Eni non è tecnicamente il designer di progetto, penso al bonus gas per la Val d‘Agri ma ce ne sono tanti altri, mi occupo delle verifiche e dei controlli precedenti all’erogazione dei pagamenti. Dunque un ruolo di grande responsabilità che riguarda la correttezza delle procedure. Poi ci sono i progetti gestiti da Eni e affidati per l’attuazione a soggetti esterni o partner. I progetti principali sono Agrivanda, l’iniziativa di riqualificazione agricola e funzionale delle aree adiacenti al Cova, con il ripristino della biodiversità, realizzata dalla Fondazione Mattei, e il CASF, cioè il centro agricolo di sperimentazione e formazione. Sono le due grande traiettorie di biodiversità realizzate intorno al Cova. Ma, dicevo, ci sono anche progetti di diversa natura. È in dirittura d’arrivo, ad esempio, il Technology & Digital hub, ci sono i progetti di Eniscuola. Insomma un grande dinamismo operativo che in ultima analisi ha a che fare sempre con la centralità delle persone e il loro valore”.

I progetti di biodiversità, come Agrivanda e il CASF, non sono però finalizzati a un business.

“Sono destinati ad aprire un varco culturale nelle nostre comunità, in particolare in quella della Val d’Agri, dimostrando che ci sono opportunità per diversificare il territorio. La Basilicata e la Val d’Agri, da questo punto di vista, hanno già una grande tradizione, una straordinaria ricchezza di colture agricole che noi abbiamo voluto recuperare e valorizzare proprio attorno al Centro Olio di Viggiano dove nel corso degli anni molti terreni erano stati abbandonati ed erano diventati incolti”.

Forse per la convinzione che attorno ad una attività industriale non può esserci attività agricola

“Ed è proprio il contrario che abbiamo voluto dimostrare nell’ambito di quest’iniziativa e di altre, tutte accomunate da un obiettivo, stabilire un contatto con chi ci accoglie, costruire dialogo, dimostrare che si possono concepire e realizzare nuove opportunità, agire, soprattutto, in trasparenza. Pensiamo a tutti gli open day che facciamo, e anche a strumenti semplici ma importanti come accogliere il reclamo di un cittadino”.

Ma qual è stato, anzi, qual è l’approccio di Eni alla biodiversità dell’area della Val d’Agri?

“Le dicevo del recupero e della rigenerazione di terreni che erano stati abbandonati. Uno dei momenti più belli è stato incrociare lo sguardo e sentire le parole piene di soddisfazione di un vecchio contadino nel vedere pienamente recuperati e “messi a nuovo” dei terreni un tempo forse coltivati da lui. Poi siamo andati oltre, e al recupero abbiamo aggiunto  dei nuovi innesti. Insomma il declino non è un destino, ma una scelta, che si può invertire rispettando le radici di un luogo e guardando oltre. Abbiamo recuperato colture autoctone, vigneti che sembravano morti, con un plus di novità come i campi di lavanda”.

Mi raccontava che è dal 2018 in Eni, se le dovessi chiedere cosa l’appassiona di più?

“Io sono un appassionato di storia, e già di mio avevo studiato la storia del nostro fondatore, Enrico Mattei, ed ero rimasto affascinato dalla sua visione di voler creare valore nei territori cercando partnership in loco. In fondo nei progetti di cui mi occupo c’è tutto questo”.

Di cosa è maggiormente soddisfatto?

“Dell’operatività e della cultura della sostenibilità in ambito operativo”.

Ma da ingegnere tutta questa competenza agricola?

“Sono figlio di contadini, da piccolo ho messo le mani nella terra, sono grato ai miei genitori per avermi fatto studiare e per avermi dato la possibilità di scegliere. Devo molto a loro e sono molto legato alla mia terra, Melfi, il Vulture, anche se l’esperienza in Nuova Zelanda è servita a strutturarmi”.

Come festeggerà i suoi prossimi 40 anni?

“Con la mia famiglia, con i miei amici, con mia moglie, Daniela e i nostri figli, Mario e Federico”.

Federico come l’imperatore svevo…

“Un nome che ci piaceva, ora che ci penso forse un riflesso condizionato dalla presenza di Federico II a Melfi, può darsi. In effetti non ce n’è un altro in famiglia…”

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