La parola è difficile, gascromatografia. È la tecnica analitica che permette di “radiografare” iacqua e gas che produce l’impianto. «È una tecnica di in cui ci siamo specializzati qui a Viggiano, posso dire che qui ci sono siamo i più bravi. Ma è solo una delle cose che facciamo. Parola di chimico, anzi di chimica, della responsabile del Labo Dime, il laboratorio di analisi al servizio del distretto di Viggiano.
Maria Antonietta Da Nazaret, lucana di Brienza, da ragazza avrebbe voluto fare la giornalista. Poi, terminato il liceo scientifico a Marsico Nuovo, per scelta e opportunità, si trovò a Bologna a studiare chimica e tecnologia farmaceutica.
Come andò?
«Avevo avuto una insegnante al liceo di italiano e latino con la quale non andavo molto d’accordo, quindi scartai la possibilità di studiare lettere. La chimica sì mi piaceva ma mi è piaciuta di più quando ho iniziato a studiarla all’università di Bologna. Eravamo tre figli in una famiglia monoreddito, Bologna offriva borse di studio che mi hanno consentito di affrontare gli anni universitari. Tornata in Basilicata non volevo pesare sulla mia famiglia, non avevo voluto farlo prima, figuriamoci dopo. La casualità di quello che è successo dopo si è trasformato in scelta»
Quindi dopo la laurea arriva in Eni?
«No. In realtà iniziai in un piccolo laboratorio che faceva analisi per conto di Eni. Il Labo Dime non esisteva ancora. Passai lì l’agosto prima della laurea. Tra il tirocinio e un breve passaggio in una farmacia a Brienza capii che volevo fare altro, dopo sei mesi ritornai in quel piccolo laboratorio dove fui assunta e dove sono rimasta per dieci anni. Croce e delizia»
In che senso?
«Perché sono stati anni belli ma anche duri, eravamo un gruppo di giovani lucani alle prese con le prime esperienze professionali. Avevamo un obiettivo di crescita comune e si lavorava senza guardare l’orologio. Il laboratorio aveva in realtà una commessa dalla Baker Hughes dove poi mi trasferii e dove sono rimasta per quattro due anni. Qui ho capito cosa fosse una multinazionale, un metodo e una relazione completamente diversi da quelli ai quali ero abituata. È stato un allenamento che mi è servito quando sono passata ad Eni»
Cioè quando fu aperto il Labo Dime?
«Esatto, era il 2017, in pratica eravamo dirimpettai, il laboratorio dove io ancora lavoravo e la nuova struttura di Eni. Partecipai alle selezioni del personale, avevo tutti i requisiti richiesti e così mi sono trovata ad essere assunta come tecnico supervisore. Quando il mio predecessore è andato via l’azienda ha puntato su di me, a fine 2022. Amavo stare in mezzo alle provette, e come vede sono in tuta da lavoro, entro ed esco dal laboratorio anche se mi occupo di aspetti gestionali».
Quindi lei oggi guida un gruppo di lavoro di cui ha fatto parte?
«Ho portato la mia visione conoscendo bene il tipo di lavoro per averlo svolto sul campo. Credo mi sia stato d’aiuto. Siamo un gruppo di otto persone, compresa me, di cui sei donne»
Sei donne chimiche su otto, quindi siete un’eccezione rispetto alla questione femminile delle materie stem…
«Proprio così, abbiamo sempre lavorato anche durante la pandemia. Le garanzie di sicurezza del lavoro in Eni sono elevatissime ma anche il modello gestionale e organizzativo ti consente un equilibrio tra vita e lavoro. Io ho due figli, quando erano piccoli, e ancora non lavoravo in Eni, mi è capitato di fare le pasquette con loro in laboratorio»
Senta dottoressa, lei oggi ha un ruolo di responsabilità, un percorso tutto lucano…
«Metto in conto che posso anche essere trasferita»
Sì, ragionavo sul fatto che lei, pur avendo studiato fuori, poi tra indotto e Dime, ha avuto la possibilità di rimanere in Basilicata. Con il suo gruppo di lavoro che tipo di relazione ha istaurato?
«L’importanza di un ruolo guida sta nel capire il valore delle persone con cui condividi un percorso. Il nostro lavoro è molto delicato, forniamo indicazioni utili alla conduzione dell’impianto, monitoriamo i parametri dei fluidi. Queste sono le competenze, poi c’è il percorso di crescita professionale e oggi non è più un obiettivo che riguarda solo la sottoscritta, riguarda tutto il bel gruppo di persone che lavorano con me».
Però un’ambizione personale la coltiverà
«Non mi guardo indietro ma neppure ho ansie per il futuro. Il mio motto è fai quello che puoi con quello che hai»
Un’ultima curiosità, se posso, quel cognome, Da Nazaret, non mi sembra lucano…
«Non lo è, è uno di quei cognomi che si davano a bambini abbandonati. Il mio bisnonno era un trovatello, un esposto. Mi ha portato fortuna e sa perché? Perché ognuno, come lei, si incuriosisce e mi chiede. Puntualmente a ogni esame universitario me lo chiedevano e questo mi serviva a rompere il ghiaccio, iniziavo a parlare della mia storia e mi rilassavo»