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Non è mai solo calcio

Il valore dello sport è, prima di tutto, quello formativo. Ne parliamo con Massimo Sabia, potentino, allenatore di calcio e imprenditore digitale

di Sergio Ragone
24 aprile 2024
7 min di lettura
di Sergio Ragone
24 aprile 2024
7 min di lettura

Nel cuore pulsante della passione sportiva risiede un’essenza magica che va oltre il semplice calcio. È il regno incantato degli allenatori delle giovanili, custodi di un tesoro prezioso: il potenziale inesplorato dei loro ragazzi, sia sul campo che nella vita. Immersi nell’atmosfera vibrante dei campi da gioco, gli allenatori assumono un ruolo che va ben oltre l’istruzione tecnica. Sono guide, mentori e amici, tessendo con pazienza e dedizione la trama intricata dei sogni e delle speranze dei loro giovani talenti. Il compito dell’allenatore va oltre il mero sviluppo delle abilità calcistiche. È un’opera d’arte plasmare non solo atleti, ma anche uomini e donne di carattere, pronti ad affrontare le sfide della vita con coraggio e determinazione. Attraverso il calcio si impara il valore del lavoro di squadra, della disciplina e della resilienza, qualità che si trasformano in pilastri su cui costruire un futuro radioso. E poi c’è l’incanto dei ricordi: le vittorie e le sconfitte si fondono in un mosaico di esperienze preziose. Nel nostro percorso di narrazione dei game changer lucani, questa volta abbiamo incontrato Massimo Sabia, potentino, allenatore di calcio e imprenditore digitale che ha saputo fare della passione per il pallone un vero e proprio mestiere, inventando il brand MsG Stay Strong.

Proviamo a spiegare, dal punto di vista di un allenatore di ragazzi, perché quando parliamo di calcio non parliamo mai di solo calcio.

Perché “il calcio è la cosa più importante delle cose meno importanti”. Ti rispondo con questa citazione di Arrigo Sacchi, perché il calcio è e sarà sempre il sogno di gran parte dei ragazzi. Tutti da piccoli ci immaginavamo nello stadio della nostra squadra del cuore, a fare il gol decisivo sotto la curva dei propri tifosi, a rispondere alle domande dei giornalisti o allenarsi con il proprio idolo… “calcio” e “sogno”, per me, hanno lo stesso percorso in un’ipotetica autostrada della vita. Il calcio ti forma caratterialmente e moralmente, è un pensare costantemente al domani e a cosa sogni di diventare, ovviamente rispettandolo come sport, perché senza il rispetto inteso come “sacrificio” “impegno” e “metodo” tutto viene vanificato. In poche parole, non parliamo solo di calcio, perché il calcio “fatto seriamente” può essere visto a 360° come metodo formativo di un ragazzo.

Il calcio, ma più in generale lo sport, è un grande collante sociale. Allenare i ragazzi vuol dire anche formarli alla vita, alla responsabilità e all’essere parte di una comunità. Com’è cambiato il ruolo dell’allenatore in questi anni?

È cambiato tanto. Ora è molto complicato far vivere ai ragazzi il “calcio” allo stesso modo di vent’anni fa… prima era molto più semplice, avevamo poco e la priorità era “inventarsi” un gioco, adattarsi alla situazione. Oggi è complicato, perché è subentrato il competitor per eccellenza, la “tecnologia”: i videogames e i cellulari hanno allontanato i ragazzi dal ragionamento di gruppo, perché hanno ciò che vogliono nell’immediato e lo hanno tutto per loro. Qui entra in gioco il ruolo dell’allenatore, che si è dovuto adeguare ai tempi, cercando di integrare la tecnologia sul campo, sul modo di parlare, portando loro gli esempi dei videogames o dei reels che vedono sui social. Solo così riesci ad entrare subito nella loro testa, non possiamo pensare di insegnare o parlare di calcio così come hanno fatto con noi 20/25 anni fa, il mondo si è evoluto e anche il modo di comunicare.

È cambiato anche il “consumo” mediatico dello sport, così com’è cambiato il suo racconto. Il digitale ha accelerato alcuni processi, accorciato le distanze tra i tifosi e gli sportivi, ma probabilmente non ha ancora consumato la meraviglia della gioia e della sofferenza vissute sul campo. Vale lo stesso anche per la Generazione Z?

Il digitale ha accelerato molto questi processi, dando la possibilità di vivere sempre l’emozione di un percorso fatto di vittorie o sconfitte. Il vantaggio del digitale è la possibilità di poter immortalare l’emozione di un gol, o il percorso di un campionato, a prescindere da come si concluderà, sia quando i protagonisti sono i ragazzi, sia quando sono i calciatori. Spesso a fine campionato o a fine torneo realizzo dei reels o dei piccolissimi cortometraggi, con tutti i video raccolti durante l’anno o durante l’esperienza del torneo, per mostrare ai ragazzi le loro stesse emozioni, che spesso sottovalutano o che dimenticano (perché le distrazioni che hanno sono tantissime). Avere un “ricordo” fatto di emozioni è la cosa più bella ed importante.

Proprio grazie ai social il suo brand ha conquistato importanti fette di mercato e le attenzioni dei maggiori influencer del mondo dello sport. È possibile fare impresa, digitale e creativa, anche dalla Basilicata?

Assolutamente sì! È sicuramente più complicato per una questione logistica e di conoscenze, ma il vantaggio del digitale è che ha ridotto le distanze. Il brand MsG nasce otto anni fa: occupandomi di social e di grafica, realizzai le prime magliette su Roberto Baggio, idolo per me e per tutti i ragazzi della mia generazione, sulla Fiat 500 (che otto anni fa era la mia macchina), e poi una sulla commedia italiana anni ’80. Andavo in giro e mi rendevo conto che l’interesse aumentava di giorno in giorno, così decisi di creare un brand e di chiamarlo #StayStrong (sii forte), conscio delle difficoltà che avrei trovato lungo il mio cammino, ma allo stesso tempo per motivarmi a non mollare mai. L’unico modo che avevo per crescere e avere visibilità era contattare qualche importante personaggio del mondo dello sport e della Tv. Il primo fu Gianluca Di Marzio, che si innamorò delle mie t-shirt: grazie ad alcune sue foto pubblicate sul suo profilo Instagram, riuscii ad entrare in contatto con altri personaggi noti della Serie A e della tv, facendo indossare negli anni le mie t-shirt a Belotti, Caterina Balivo, Riccardo Orsolini, Luca Antonini, De Silvestri, Colonnese, Fabio Caressa, Natasha Stefanenko, Pippo Inzaghi, Pio e Amedeo, Fiorello, Planet Funk e altri. Tutto questo, ovviamente, mi ha portato a crescere tanto sui social e ad aumentare la visibilità e la produzione dei miei prodotti.

Quale sarà l’evoluzione di questo sport? E quale impatto ci sarà sul pubblico di ogni età?

Il calcio cambia e continuerà ad evolversi. Dal punto di vista tecnico, continuerà ad essere sempre più fisico e meno tecnico. Questo riguarda un discorso più ampio, che parte dalle scuole calcio, con strutture purtroppo carenti e obsolete nelle nostre zone, e da quella voglia di “emergere” dei tecnici che prevale sul loro reale ruolo, ossia quello di “trasmettere” e “insegnare il metodo”. Dal punto di vista “imprenditoriale”, bisogna sempre avvicinarsi al potenziale cliente - il mio target oscilla dai 15 ai 40 anni - comunicando in tutti i modi, dal classico passaparola, arrivando al mondo dei social (Tiktok, Facebook, Instagram), dove ogni piattaforma è adatta ad un pubblico diverso e quindi adeguando sempre il modo di comunicare. Le società di calcio si stanno evolvendo allo stesso modo, aumentando l’interazione tra tifosi e brand e facendo sentire il tifoso al centro del loro mondo.