Il coraggio e l’intraprendenza Di Un Ingegnere sempre giovane
La storia di Francesco Iantorno, alla soglia dei 50 anni. Un visionario che ha lasciato il posto fisso per dare vita alla startup innovativa Inelectric, anticipando i temi della transizione energetica, della mobilità sostenibile e dell’economia circolare.
Ingegnere meccatronico, Francesco Iantorno, 49 anni, di Potenza, continua a essere lo stesso che 24 anni fa uscì (anche se mai del tutto) dall’Università degli Studi della Basilicata con una laurea in Ingegneria meccanica-gestionale e un carico di sogni e di idee. Tanti realizzati, tanti da portare avanti, ma soprattutto tante nuove sfide. Dopo 20 anni di direzione in un’azienda metalmeccanica, ha fondato Inelectric, start up innovativa che è stata anche testimonial del progetto Inchubatori di Sviluppo Basilicata, anticipando i temi della transizione energetica, della mobilità sostenibile e dell’economia circolare: dal primo motore ibrido in acqua all’elettrificazione delle auto d’epoca, agli sprechi energetici da fonte rinnovabile.Da bambino, voleva “fare il progettista, come suo padre, ottimizzare i componenti meccanici, unendo sempre passione e studio, adeguando le ambizioni alle attitudini”. Da uomo, è sempre un passo avanti. Al coraggio ha unito l’esperienza e la saggezza. Un vulcano di idee che, pur nella consapevolezza che non si può vivere di ricerca, continua a insistere, a sfornare progetti, a brevettare prototipi nel campo della meccatronica, laddove meccanica ed elettronica si fondono in quella transizione energetica che per un visionario come Iantorno poteva essere già una realtà quando, da neolaureato, si affacciava nel mondo della mobilità sostenibile con un gruppo di menti giovani e illuminate e un team di docenti che puntavano sulle loro idee. Era il 2010 quando portò l’elettrico in acqua nella laguna di Venezia, consentendo ad una imbarcazione di navigare a zero emissioni con un innovativo motore nautico ibrido.
Ci racconta come è andata?
L’intuizione di abbinare l’elettrico al termico mi è venuta vedendo la pubblicità di un motore elettrico per uso industriale che aveva una forma compatibile con il volano di un motore termico che stavo sviluppando. Con il mio gruppo di lavoro dell’epoca sono riuscito, in breve tempo, a realizzare il primo prototipo perfettamente funzionante. Ovviamente si può immaginare la reticenza delle persone ad immaginare barche elettriche, ben oltre 14 anni fa!
Il limite del Sud, spesso, è proprio quello di far conoscere le proprie idee e trovare chi creda subito in esse…
È il nostro problema principale. Molti mi chiedono di vedere come “funziona” per poi investire, ma ricerca e sviluppo richiedono costi per portare a termine un prototipo funzionante. E sono proprio questi costi che vanno supportati e agevolati. Invece, spesso non sono compresi dal potenziale investitore che in Basilicata è più propenso ad investire sul “cemento” o oggi anche sulle rinnovabili, soluzioni che necessitano di un capitale e garantiscono un ritorno pianificato. Ma questa non è innovazione.
Nonostante tutto lei non si mai fermato, e ha scelto di restare in Basilicata.
Sì, diciamo che ho una “malattia,” come recita una canzone abbastanza recente. Tutte le mie scelte sono volutamente e convintamente basate sulla Basilicata. Perché è una terra che amo, piena di opportunità e risorse. Anche se ho ricevuto diverse offerte di lavoro fuori regione, ho scelto di fermarmi.
Ai giovani di oggi consiglierebbe di restare?
Bisogna seguire la passione. Quindi consiglio di fare un’esperienza fuori, possibilmente con la determinazione e la voglia di tornare per mettere a valore, qui nel nostro territorio, quello che si è imparato. Certo non tutti possono fare impresa o rischiare capitali. Sicuramente quello che mi sconcerta è la ricerca del posto fisso in una struttura pubblica o privata non per esprimersi al meglio e dare un contributo al bene comune, ma per avere la tranquillità di essersi sistemato, godendo di tutte le garanzie contrattuali, senza doversi mettere in gioco quotidianamente.
Si riconosce nella generazione dei Millenials e in quelle successive?
No, non mi riesco a classificare, sono espressione dei tempi moderni. Mi piace approfondire tematiche nuove senza troppe astrazioni. Usualmente mi vengono idee progettuali realizzabili, non sempre foriere di guadagni. Ancora oggi, per esempio, l’ibrido marino non è decollato: se ne parla, ma non si vende. A Maratea naviga un’imbarcazione per trasporto passeggeri con un mio nuovo kit, sviluppato dai miei collaboratori della Inelectric, ma senza agevolazioni. Ritengo che le vendite non saliranno, pur essendo un servizio affidabilissimo, non costoso e che offre un’esperienza unica di navigazione.
Cosa manca ai giovani di oggi?
Penso che non manchi nulla in teoria: hanno strumenti, visione, elementi di confronto, esempi. Manca proprio la voglia di mettersi in gioco. Lo vedo con alcuni ragazzi. Finito l’orario di lavoro vanno via, hanno fretta di tornare a casa, anziché avere la voglia di rubare il lavoro agli altri, ai più esperti. Ritengo ci sia una mancanza di stimoli. La contaminazione è fondamentale; più esempi positivi ci sono, più cresce la voglia di emulazione. Più sono gli aiuti alle imprese che innovano, più giovani valuteranno di mettersi in gioco.
Passione e intraprendenza che l’hanno spinta a lasciare il posto fisso e mettersi in proprio?
Sinceramente il mio approccio lavorativo, anche da dipendente o dirigente, è sempre stato lo stesso, perché consideravo comunque l’azienda mia. In una organizzazione più grande, però, ci sono logiche che ritenevo limitanti proprio in un momento storico di transizione dove un ruolo fondamentale lo ricoprono i tecnici. Così ho deciso di creare una mia realtà, basata sulle tematiche che mi hanno sempre appassionato.
Il suo ultimo progetto riguarda un kit di riqualificazione elettrica…
L’idea è quella di estendere la vita dei veicoli e creare quell’economia circolare che con la pura rottamazione non si realizza. È nata una specie di sfida ingegneristica, oggi direi burocratica, perché una microrealtà come la Inelectric, tra le prime ad aver ottenuto l’accreditamento al Ministero dei Trasporti, è assimilata alle regole di una multinazionale, con passaggi burocratici e dirigenti che per la prima volta si confrontano con un decreto attuativo. Lascio immaginare la complessità.
Nella terra dell’automotive e di Stellantis, che peso concreto ha avuto il suo progetto?
Siamo partiti con una “Fiat 500” del 1969 perché è un modello iconico. Ma riteniamo che il business sia la trasformazione di veicoli commerciali e veicoli agricoli per molti dei quali il nostro kit è già idoneo. Ci vuole, però, un progetto industriale che coinvolga diversi player, penso a quelli dell’indotto di Melfi dell’automotive. I numeri non sono piccoli, ci sono svariati veicoli che potrebbero essere trasformati in serie. Immagino un sito produttivo dove entra il veicolo a motore ed esce elettrico.
Tra il primo e l’ultimo prototipo, una serie infinita di progetti innovativi spaziando dalla produzione all’accumulo di energia.
Uno è l’impianto pilota Warehouse Exergy (WE), un progetto di economia circolare che sfrutta cavità sotterranee, pozzi esausti di gas naturale o di petrolio e punta a immagazzinare energia annullando gli sprechi delle fonti rinnovabili. L’idea di base è sfruttare la mancata produzione da fonti rinnovabili non programmabili o comunque la presenza di un surplus energetico, per comprimere aria che viene stoccata in innovativi serbatoi di varia natura e, nei momenti di picco di domanda, viene fatta espandere in turbine che azionano generatori elettrici. Altri progetti di economia circolare riguardano la produzione di energia con l’idrogeno e con una turbina eolica ad asse verticale, entrambi per uso domestico.