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«Il giacimento parla e ha una sua storia, come le persone»

Paola Trombetti, 37 anni, ingegnere di giacimento in Val d’Agri.

di Lucia Serino
06 aprile 2023
5 min di lettura
di Lucia Serino
06 aprile 2023
5 min di lettura

Un giacimento parla, perché parla la terra. Se andate a Sasso di Castalda, 949 metri di altitudine, si possono trovare ancora tracce di fossili e affioramenti. Era un antico bacino marino, milioni di anni fa, l’area dove oggi è perimetrato il giacimento della Val d’Agri. La terra ha in profondità una roccia madre che ospita e trattiene le sedimentazioni di materiale organico, meno generosa della roccia serbatoio. La geologia è un appassionante racconto di pressioni e temperature, accumulo di sostanze nutritive, luce e batteri.  Residui e tempo e bocche che si aprono e vanno giù, sempre più strette.

«È un giacimento per nulla semplice da esplorare, questo della Val d’Agri, è un carbonato fratturato. Immaginate tanti piccoli canali sotterranei che diventano l’obiettivo dei pozzi di estrazione. È una ricerca, i dati storici e l’anamnesi della roccia sono la premessa, ma quando parte la perforazione, la terrati parla, ti parla la densità del fango, le vibrazioni dell’impianto, la quantità di gas che si sprigiona: sono tutti elementi che ti consentono di fare una proiezione sul comportamento di un pozzo. Semplifico, in realtà è molto più complesso…»

Ma va bene semplificato così Paola, in pratica se ho ben capito il tuo lavoro è come quello di un medico che segue tutte le fasi di vita di un suo assistito.

«Sì, è così, dal workover al rigless, cioè dall’individuazione delle traiettorie migliori per l’esplorazione, alla fase della “maturità” del campo con la sua ottimizzazione finale».

Paola Trombetti, 37 anni, ingegnere di giacimento laureata a Pisa, lavora al Dime da quando aveva 26 anni. In Abruzzo le sue radici, e qui in Val d’Agri è cresciuta professionalmente e come madre creando una famiglia.

«Dopo la laurea frequentai un master Eni a Torino, e poi lavorai a San Donato Milanese, ma per poco tempo. Mi chiesero di venire a Viggiano per un addestramento operativo in produzione, dovevo rimanere per un breve periodo. Poi mi chiesero una sostituzione di una collega in giacimenti, poi un’altra ancora. Sono ancora qui, mio marito è un collega, siamo entrambi abruzzesi, ma siamo ormai lucani d’adozione con due figli nati in Basilicata. Ma la Lucania mi ricorda molto la mia regione con le sue vette e la sua natura incontaminata, anche se io vengo dal mare, da Pescara».

Con l’ingegnere Paola Trombetti ci avviciniamo al pozzo Monte Alpi 1-2. È un cluster, ci sono cioè due pozzi sulla stessa piazzola uno in produzione, l’altro in fase di manutenzione straordinaria. Il briefing per le norme di sicurezza all’ingresso è come quando sali su un aereo. Non esiste il rischio zero, ma i livelli di sicurezza (compreso quello estremo della fornitura dello zaino Escape con la maschera antigas) sono altissimi: sensori, centraline di allarme, indicazioni di aree di raduno. Non c’è vento oggi, ma conta anche questo quassù, la variabile delle correnti conta. Il cellulare non si usa, così sei tu e la terra che calpesti, c’è un gran silenzio oltre le parole del sorvegliante che ti indica le direzioni dei punti di raduno in caso di emergenza. La grande torre di perforazione sarà smontata a giorni. Paola ti spiega tubo per tubo com’è fatta e a cosa serve. Il linguaggio è tecnico, ma appassionante.

«Il target è il punto d’arrivo, cioè l’area potenzialmente produttiva, identificato il target si perfora, poi siamo d’aiuto al design di completamento, poi c’è la stima della vita produttiva…»

Aspetta Paola, ma come si fa a essere esperti di tante cose messe insieme?

«Bella domanda. Devo dire con onestà che, benché io sia laureata in ingegneria chimica con un enorme passione per gli animali (i cavalli in particolare), tutto quello che so fare l’ho appreso qui, con umiltà, curiosità ed entusiasmo. Il valore della competenza delle persone in Eni è enorme. Ognuno porta il suo contributo, l’esperienza poi fa la sua parte, probabilmente la più importante, ma questo è un lavoro mai uguale, sempre nuovo. È come avere davanti la vetta di una montagna. Ti devi chiedere dove vuoi arrivare e qual è il percorso migliore. Non si va a tentativi, ma durante il percorso puoi trovare una direzione ed un paesaggio migliore di quella che avevi immaginato».

Cosa significa esattamente essere un ingegnere di giacimento?

«Ci sono due gruppi di lavoro all’interno della nostra famiglia professionale qui in Dime: reservoir e petroleum. Nel primo gruppo si studia un pozzo dalla fase iniziale alla proiezione degli scenari futuri, diciamo l’aspettativa di vita in base a tanti elementi, esattamente come per una persona. Nel secondo gruppo si seguono le attività di monitoraggio ed ottimizzazione della produzione. Io sono la coordinatrice del gruppo petroleum. È un ambiente di lavoro in cui si sono consolidati rapporti solidali e di amicizia. La collaborazione con le altre unità del distretto è un grande valore aggiunto, il Laboratorio chimico del Dime poi è uno stimolo continuo».

Partenze future?

«Mai dire mai. L’esperienza di Viggiano ti prepara per ogni altrove, la Basilicata mi ha dato tanto. Sono pronta in futuro ad accogliere nuovi stimoli senza timore e con la vicinanza della mia famiglia mi sento ancora più forte». Il giro finisce sotto un sole brillante mentre Paola spiega le tre grandi aree che compongono il giacimento Val d’Agri e le differenze. Giusto il tempo per una foto finale. La torre alle spalle è alta, anche Paola lo è, bisogna trovare l’inquadratura giusta. «Pensa che neppure al matrimonio mi sono voluta mettere in posa. Ma oggi sono proprio contenta di farlo».

 

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