Occorre che la produzione nazionale venga rivitalizzata e che vada ad alimentare l’offerta. La Basilicata, con i suoi due giacimenti, è l’area che più ha accresciuto la produzione di gas e le potenzialità sono ancora enormi.
È più facile andare in Africa, parlare un’altra lingua, fare patti con Stati non certo sicuri, costruire gigantesche infrastrutture per il trasporto? O è più facile produrre il gas nel nostro Paese? La risposta è andare all’estero, perché in Italia le complicazioni sono enormi, nonostante l’abbondanza di riserve. A un anno e mezzo dall’inizio della crisi, nell’agosto del 2021, quando la Russia ammassava le truppe, e ad un anno dallo scoppio della guerra, iniziata il 24 febbraio 2022, la nostra produzione nazionale rimane ferma sui 3 miliardi di metri cubi anno, minimo raggiunto nel lontano 1954. Nella definizione delle azioni di risposta era stato più volte ribadito come la produzione nazionale fosse strumento efficace per rispondere all’ammanco dalla Russia che, vale ricordare, è la prima causa del balzo dei prezzi del gas e, a seguire, di quelli dell’elettricità.
Una delle ragioni per le quali l’Europa si è trovata troppo scoperta di fronte alla guerra in Ucraina è stato proprio il progressivo calo della produzione interna, non solo dell’Italia, ma anche dell’Olanda e del Regno Unito. Con consumi che, seppur leggermente, avevano ripreso a salire, inevitabilmente è cresciuta la dipendenza dall’estero, in particolare dalla Russia, il primo paese al mondo per riserve e, più importante, il primo paese per esportazioni di gas, e, ancora più importante, il paese con i costi di produzione più bassi. Ora, spostare il flusso dalla Russia, che ci dava circa 150 miliardi di metri cubi, pari al 40% della domanda, ad altre aree di provenienza è difficile.
La soluzione ovvia è spostarsi verso il Nord Africa, un’altra area di grandi riserve, già collegata all’Italia con i suoi tubi che portano gas dall’Algeria e dalla Libia. Un terzo tubo, sempre a Sud, collega la Puglia, dalle coste della provincia di Lecce, con l’Albania e da lì corre fino al mar Caspio in Azerbaijan. Già prima della crisi arrivavano in Italia da questi canali circa 30 miliardi di metri cubi all’anno, la gran parte dall’Algeria, e ora l’intenzione è quella di raddoppiarli, ma i tempi di sviluppo dei giacimenti e di espansione delle strutture sono lunghi, dell’ordine di due o tre anni.
Nelle ultime settimane si è parlato molto di hub del gas, anzi dell’energia, che si dovrebbe sviluppare in Italia a servizio del resto dell’Europa, un’ambizione che non è nuova come idea per il gas, e che esiste da tempo per la fonte più importante che consumiamo, il petrolio.
Infatti, con le nostre 6 raffinerie che si affacciano sul Mediterraneo, siamo da quasi 50 anni un hub dei prodotti petroliferi, con tanto di quotazioni spot del Platts Med dei prodotti petroliferi, la benzina e il gasolio. Non si tratta di cose astruse, perché il prezzo della benzina alla pompa che tutti i giorni paghiamo in Italia è calcolato partendo dalla quotazione Platts, che varia giornalmente, a cui si aggiungono i costi interni di trasporto e distribuzione più le tasse.
Per il gas si parla da anni di hub dell’Italia, che letteralmente vuol dire snodo, interconnessione. Ma quale ne sarebbe l’utilità per l’Italia di diventare un transito per il gas? Con un intreccio di tubi collegati e rigassificatori collegati al resto d’Europa che portano gas oltre che dal Nord Africa anche dall’est del Mediterraneo? La prima ragione sarebbe quella di replicare l’esperienza positiva dell’hub più importante al mondo, Herny Hub, della Lousiana negli Stati Uniti, dove convergono molte linee di trasporto dalle aree produttive e dove partono quelle che portano il gas negli Stati a maggiore consumo, in particolare quelli della East Coast. È un mercato che, grazie alla grande competizione, esprime prezzi molto bassi, vicini ai costi di produzione che, nel febbraio 2023, sono un sesto di quelli che si pagano in Europa.
Il fattore decisivo, però, di questa alta efficienza è l’apporto della produzione locale, fatta di migliaia di diverse società che competono fra loro. In sostanza, la produzione interna è essenziale per il buon funzionamento di questo hub e questa regola è stata confermata in altri casi. Vale anche per le aspirazioni dell’Italia; occorre che la produzione nazionale venga rivitalizzata e che vada ad alimentare l’offerta sul nostro futuro hub. La Basilicata, con i suoi due giacimenti, è l’area che più ha accresciuto la produzione di gas, limitando in parte la flessione del totale nazionale. Le potenzialità sono ancora enormi e il contributo che la Val d’Agri e Tempa Rossa potrebbero dare all’hub del gas dell’Italia sarebbe decisivo. Oltre ad andare all’estero per cercare grandi soluzioni, ricordiamoci che molte e più semplici le abbiamo a casa nostra.