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Carnevale tra miti, canti, arte e spiritualità

La storia di questo momento di festa, tra sacralità e sacrilegio. E la modernità dei riti carnascialeschi, secondo il visual artist e creative director Silvio Giordano.

di Sergio Ragone
28 febbraio 2023
8 min di lettura
di Sergio Ragone
28 febbraio 2023
8 min di lettura

Un fiume di colori e musica è tornato ad animare le vie dei nostri paesi durante i giorni del Carnevale. La tradizione antica unita alla modernità delle forme e delle modalità del racconto hanno restituito alla Basilicata un tempo di gioia e allegria che mancava da tempo. Con la fine delle restrizioni imposte dalla pandemia sono tornati gli antichi riti e i suoni della festa che ricordano tradizioni contadine, miti e leggende che si tramandano di generazione in generazione. Per raccontare il Carnevale in Basilicata abbiamo scelto due modi: il primo, recuperando libri e vecchi canti; il secondo, dialogando con il visual artist e creative director Silvio Giordano, che ha firmato con il suo genio alcune pagine della promozione turistica della Basilicata, proprio legata al Carnevale.

Storie e tradizioni

La storia, quindi, che è ben custodita in diversi volumi che svelano l’origine delle tradizioni, svelano il mito e contribuiscono a delineare l’identità popolare e comunitaria della Basilicata. Nel nostro lavoro di ricerca delle fonti ci siamo imbattuti nel volume del 1984 di Enzo Spera, “Licenzia vo’, Signoria”, edito dal Centro Studi Monopiano, il quale ci introduce ad una lettura molto interessante della tradizione carnascialesca lucana: “Il Carnevale, come da più parti è sempre stato rilevato e ben evidenziato, e come anch’io ho avuto modo più volte occasione di osservare, ribadire e annotare, è stato uno dei fondamentali e più importanti riferimenti e nuclei espressivi di autodefinizione, di affermazione e di autocitazione delle culture agro-pastorali e pre-industriali. Questa centralità e rilevanza è ben racchiusa in un’espressione raccolta a Stigliano (Urago p.156), ma ben certamente comune, nella sua sostanza, non solo a tutta la regione, ma a tutta la realtà nella quale hanno profonda significazione i nuclei festivi tradizionali: Tre so l’feste principal/ l'Notal', Pasqua e l'sondéssem' Carnevale. Il Carnevale non è solo una festa, come Natale e Pasqua, secondo questa massima, ma è addirittura anche ‘santissimo’. La qualificazione e l’accentuazione della santità, attribuita e riconosciuta a Carnevale, gioca contrastatamente, è vero, in funzione delle feste sante, secondo la concezione cristiana e cattolica, del Natale e della Pasqua; ma dove pure il suo carattere santo, (e si tratta di una santità in gran parte esterna al significato cattolico e chiesastico), oltre ad avere un senso giocoso ed un retro significato tendenzialmente di inversione e di ribaltamento, proprio dell'ovvietà e della serietà del termine ‘santo’, con fini coerenti allo stesso spirito carnascialesco di capovolgimento e di scherzo sacrilego, ben evidenzia e porta in affioramento, il senso rituale e culturale di un antico legame, mantenuto, con la santità del ciclo rigenerativo e riproduttivo della natura”. Nella sua analisi molto dettagliata, Spera arriva a paragonare carnevale con la figura del Cristo: “Morendo per poi ogni volta resuscitare, Carnevale riafferma la sua qualità divina che, più che mai e più che negli altri esseri solamente umani, è fatta di carne e di carnalità. [...] Carnevale, come Cristo, resuscita ogni anno: ma più di Cristo ricompare sempre più umano e di carne negli stessi esseri umani dei quali è una sorta di concentrato: qualità questa che gli deriva proprio dalla sua natura mitica e divina. Rinascendo e morendo, per rinascere e morire suppliziato ogni anno. Carnevale è una garanzia di immortalità, è una sorta di affermazione mitica e rassicurante della circolarità del tempo che ritorna, qui sulla terra”. Ma la “santità” del Carnevale ha poco di spirituale e molto di terreno, ed è lo stesso Spera a spiegarlo bene quando dice: “Carnevale è ‘santissimo’ lì dove lo leggiamo ancora per quello che, in effetti, ha sempre voluto significare per le culture contadine: una festa di eliminazione del vecchio, di rinnovamento e di propiziazione dell’incognito”. Nei riti e tra i miti del Carnevale lucano, si legge nelle pagine del volume di Spera, ci sono anche i canti che danno ritmo alle parate e mettono in musica la tradizione. Alcuni dei più famosi, e tutt’ora in voga, sono legati al cibo, in modo specifico ai derivati del maiale, altro grande protagonista della tradizione lucana contadina e popolare. Ecco come uno stesso canto viene interpretato in alcuni comuni lucani:

Satriano di Lucania

Carnevàle Carnevalicchie
ramme nu pôke re saucicchie
e si nün mi ni vui rà
te pote tütte
'nfraciedà

Potenza

Parate e paraticchi
damme na nzeuga de savecicchie,
si nun me ne vuò dà ca te pozze strafucà.

Rionero

Zizz, zizz, zizz,
damm nu poc r savzizz,
s manc m n vuò rà
ca s pozza
'mbracità.

Fermiamo qui la storia, la memoria collettiva, l’eredità comunitaria per passare rapidamente ai giorni nostri, a cosa sia il Carnevale lucano della contemporaneità. 

LA MISTICA CONTEMPORANEA

Come detto in apertura, per indagare a fondo abbiamo interrogato Silvio Giordano al quale abbiamo chiesto se esista o meno una sorta di mistica del Carnevale in Basilicata. Per Giordano si può parlare di mistica se intesa come qualcosa di misterioso, sì. Dove bisogna indagare e trovare una spiritualità nascosta, e aggiunge: “Ma io parlerei più di Biofilia, cioè di vita. Molta vita. Osservare una foresta che cammina, come quella dei Rumiti è come osservare la natura stessa in movimento. Il Verde, le radici e la linfa delle piante che si fondono con gli uomini. Creature che scendono in paese per cercare umilmente del cibo. Così come sono riti della fertilità anche le Maschere di Tricarico dette le l’Mash-kr, Toro e Mucche che si accoppiano. Parliamo ancora di vita quindi. Il senso della vita nasce proprio dalla civiltà contadina. Queste maschere nascono dalla povertà ma sono ricche di spiritualità, umiltà, aspettativa ed esistenzialismo”. Vista la sua disponibilità al dialogo ci spingiamo a chiedere se, visto l’uso delle maschere cornute e la figura del Rumita, il Carnevale in Basilicata può essere inteso anche come una forma d’arte.  “A livello creativo – dice Giordano – credo che le figure del carnevale lucano siano un vero serbatoio di immagini da cui attingere per raccontare storie. Cinema, fumetti, videogame, sculture d’arte contemporanea possono essere il media giusto per raccontare tali figure. Io le definirei delle vere ‘IP’, Intellectual property, su cui lavorare.  Personalmente anni fa realizzai proprio un monumento del Rumita che ora è all’ingresso del paese di Satriano. Una sorta di guardiano del paese. Come un Bronzo di Riace green o un Swamp Thing di Alan Moore. Immaginati se ogni paese avesse delle opere così. L’Urs di Teana si presterebbe benissimo così come il rosso e misterioso Domino di Lavello. La rivista storica Linus ha dedicato proprio un racconto delle figure del Carnevale ad opera dell’artista e illustratrice Margherita Tramutoli. Su questa scia dei Comics & Games c’è un lavoro in atto proprio da parte dell’Apt e con il direttore Antonio Nicoletti abbiamo deciso di mettere alla stazione di Milano le figure dei nostri Carnevali. Custodi della tradizione. Come nuovi super eroi per creare un nuovo immaginario”. Rito, mito e leggenda si uniscono e quasi si fondono nell’esibizione di maschere e parate. Bellezza e gioia che colora le vie dei paesi, eppure queste figure raccontano di paure e maledizioni. Com’è possibile tutto ciò? Anche su questo quesito, Giordano ha una valida spiegazione: “C’è un libro intitolato Winter Rites, un bellissimo libro dei fratelli Tartaglione, in cui sono state documentate tutte le maschere del carnevale. Sfogliando il libro hai l’esatta percezione di questo chiaroscuro. Queste figure divertono ma raccontano la paura, la fame e la difficoltà della vita. Creature dantesche coloratissime come i Diavoli di Aliano o gli oscuri Cucibocca. Figure antropomorfe da far invidia a qualsiasi personaggio di Jodorwsky. Io credo che ogni storia reale o favola o leggenda debba contemplare il suo lato oscuro. Voglio immaginare che queste creature cerchino la pace e un loro posto nel mondo. In fin dei conti sono le rappresentazioni di noi esseri umani. Angelici e demoniaci allo stesso tempo. Ma tutti forse in cerca di luce. Perché, come direbbe un versetto di Giovanni 1,1, ‘La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta’”.