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La salute, prima di tutto

Anna Nigro, la biotecnologa che si occupa di sorveglianza sanitaria e di prevenzione del rischio. Una storia lucana, nata in un laboratorio a Viggiano.

di Lucia Serino
27 ottobre 2022
4 min di lettura
di Lucia Serino
27 ottobre 2022
4 min di lettura

Alle spalle della sua scrivania la riproduzione di una vecchia foto di Enrico Mattei a Ferrandina, sul palco con Emilio Colombo davanti a una piazza stracolma, tanto per non dimenticare da dove parte la storia di Eni in Basilicata. Poi la compagnia delle due figlie non ancora adolescenti, può essere anche un foglio di quaderno con la sagoma delle mani passate in una vernice rossa.

Anna Nigro, 46 anni, lucana di Viggiano, perito chimico e poi una laurea in Bioscienze e biotecnologie, nell’arcipelago degli acronimi aziendali fa parte del ramo HSE, Healty, Safety & Environment.

La lettera H è il tuo settore, cioè la salute, ti occupi di sorveglianza sanitaria ed Igiene Industriale. In concreto?

«Vedi queste cartelle accatastate sulla scrivania? Qui c’è il DVR, cioè il documento di valutazione del rischio a firma del datore di lavoro. Questo documento viene fuori da una stretta collaborazione tra il datore di lavoro stesso, il medico competente, l’RLS (Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza) e l’RSPP, cioè il responsabile del Servizio di prevenzione e Protezione. Io faccio parte del gruppo in quanto sono una ASPP, cioè un addetto di questo settore».

Parlavi di valutazione del rischio.

«La valutazione del rischio è lo strumento fondamentale che permette al datore di lavoro di individuare le misure di prevenzione e protezione e di pianificarne l’attuazione con lo scopo di prevenire quelle condizioni che possono alterare lo stato di salute e benessere dei lavoratori. In un processo di valutazione e di igiene industriale si devono individuare tutti i pericoli, anche quelli potenziali, e ce ne sono di vario tipo, per esempio videoterminale, stress, rumore etc... Ma al di là della catalogazione in astratto ci sono i bisogni concreti delle persone che vanno capiti, ascoltati, affrontati. Il valore delle persone in Eni non è solo una parola, è una pratica concreta e quotidiana. E la pandemia ha rafforzato, per quel che mi riguarda, ancora di più questo valore».

Raccontami la pandemia…

«In quel momento drammatico iniziale, come previsto dalla norma, tutti quelli che potevano hanno lavorato in smartworking. Io, per le mie specifiche funzioni, non ho mai smesso di lavorare in presenza qui in sede. Abbiamo lavorato molto, la legislazione cambiava in continuazione, c’erano mille emergenze da affrontare.

Tutto il materiale che arrivava qui, a cominciare dalle mascherine che erano introvabili, è stato condiviso. Anche con la comunità che ci accoglie, non solo all’interno dell’azienda. Abbiamo donato agli ospedali mascherine, letti di degenza, ventilatori polmonari, caschi etc... Quell’esperienza ha lasciato – a me, ma credo un po’ a tutti – una grande eredità e cioè la consapevolezza che insieme, rispettando le regole, siamo tutti più forti».

Il peggio è passato

«Già, che bello rivedere al lavoro tutti i colleghi».

Anna, come sei arrivata in Eni?

«Il mio primo lavoro è stato in un laboratorio chimico che aveva tra i committenti Eni. Mi sono occupata di quella committenza quasi esclusivamente. E così c’è stata una formazione sul campo e un passaggio naturale».

Sei di Viggiano, quindi posso chiedere per te cosa significa questa realtà industriale a casa tua?

«Credo che la risposta sia questa foto che ho voluto qui nella mia stanza (quella di Mattei, ndr). È l’orgoglio identitario, il senso di appartenenza più che – banalmente – poter avere il lavoro a casa propria».

Quando arrivò Eni in Val d’Agri tu eri ragazza, che ricordi ne hai?

«Devo dire che non ne ho un ricordo particolare. Nel senso che fu un insediamento progressivo, Io volevo fare tutt’altro e su altro ero già proiettata. Poi il destino decide per te. E oggi non posso che essere grata a questo destino. Anche perché questo è sempre un punto di partenza non di arrivo. Affino competenze ogni giorno, anche autonomamente, per conto mio, oltre che nell’ambito della formazione aziendale. Questo, se non hai una forte motivazione non lo fai».

Prima parlavi del valore della condivisione.

«Sì, è la nostra grande ricchezza. Anche dal punto di vista professionale, non solo relazionale. Se ho bisogno di un parere, se ho un dubbio, se insomma cerco un consiglio, un confronto, una soluzione, so che c’è qualcuno in Eni da qualche parte che può darmi una mano. Questo è impagabile».

Una cosa di cui sei particolarmente fiera, a parte il contributo alla gestione della pandemia.

«I programmi aziendali di screening e promozione della salute, ad esempio i “corretti stili di vita” o la vaccinazione antinfluenzale, particolarmente importante in questo momento. È un modo per dimostrare che l’azienda c’è, che noi ci siamo». 

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