DSCF9911.JPG

Il Cinema, la Basilicata e le sue “Storie Parallele”

Il festival di Salandra che punta non solo a raccontare storie e luoghi, ma anche a rafforzare il territorio e la comunità. Ne parliamo con il direttore artistico del festival, Nicola Ragone

di Sergio Ragone
22 novembre 2021
7 min di lettura
di Sergio Ragone
22 novembre 2021
7 min di lettura

Provare a resistere per continuare ad esistere. Un gioco di parole nemmeno troppo ricercato, ma è proprio questo il messaggio che l’ultima edizione di “Storie Parallele”, il festival cinematografico di Salandra, sembra lanciare a tutta la comunità regionale. Una kermesse interamente dedicata al genere degli short doc che ha mostrato di avere tutte le carte in regola per poter diventare un punto di riferimento nel panorama dei nuovi festival italiani e un modello per tutte le piccole realtà dell’entroterra desiderose di stimoli, confronti, scambi. “Soste” il tema di questa edizione: un invito a fermarsi per contemplare, ascoltare, a confrontarsi con altre realtà, quelle parallele appunto. Questa del 2021 è stata l’edizione del ritorno. Innanzitutto del ritorno del pubblico in presenza, un fatto eccezionale in tempi di pandemia ma che ci dà la prova che la fase più critica sembra essere ormai alle spalle, anche grazie alla campagna di vaccinazione che ha messo in sicurezza fragili ed ultra fragili e che sta rilanciando l’economia italiana. Ne abbiamo parlato di recente con il direttore artistico del festival, Nicola Ragone, con il quale chi scrive condivide solo una fortunata omonimia. Dice Ragone a proposito di questa edizione del suo festival:
“Abbiamo deciso di spingerci verso un’offerta culturale ampia, trasversale, variegata, che potesse rispondere alle esigenze del grande pubblico e giungere anche alle persone che non frequentano ambienti cinematografici. Un festival per tutti, che potesse dialogare con la gente. Volevamo creare un solco, essere riconoscibili e rafforzare la nostra identità. È stato un passaggio un po’ folle e poco cosciente, difficile da gestire e forse fuori dalla nostra portata, ma siamo andati avanti spediti verso l’obiettivo. Ci ha salvato il cuore. Un cuore grande, composto dall’impegno puro e dalla dedizione che ogni membro dello staff ha donato a questo evento. E poi ci ha salvato il pubblico. Abbiamo avuto una bella risposta, nonostante la destagionalizzazione (assolutamente voluta dalla direzione artistica, per poter creare fermento in periodi dell’anno poco movimentati) gli spettatori hanno affollato i diversi eventi, partecipando in modo attivo. Sentivo fortissima la pulsione di un rito, un rito di condivisione e di confronto che abbracciava tutti i presenti”.
Ma con il già premio Nastro d’Argento (nel 2015 con il cortometraggio “Sonderkommando”) e uomo di profonda cultura possiamo spingerci un po’ più in là nell’analisi del tempo che viviamo, chiedendogli quali sono le “Storie Parallele” che corrono tra la striscia di asfalto della Basentana e la linea rugosa e arsa dei calanchi. “Sono le storie che ci raccontavano i nostri nonni, gli aneddoti sui briganti che affollavano la nostra immaginazione adolescenziale: uomini con la barba lunga che mi ricordavano la figura di Mangiafuoco, donne spietate armate fino ai denti, erano eroine ed eroi invincibili, salvatori del mondo, anzi del sud del mondo. Ma le Storie Parallele sono anche quelle che scovi nel quartiere di Harlem a New York, nelle favelas di Haiti, tra i laghi ghiacciati di Islanda, o al confine tra Armenia e Iran. Sembrano storie così lontane, ma sono più vicine di quanto sembri. Sono frammenti di vita che appartengono a personaggi sconosciuti, a realtà marginali, sono memorie del sottosuolo. Esistono realtà parallele a quelle convenzionali, mondi crepuscolari, provinciali, spesso non ritratti, abbandonati dalla coscienza collettiva. Questo festival si pone l’obiettivo di puntare la lente su realtà nascoste, su storie di riscatto, ma è anche guidato dall’intenzione di individuare sguardi innovativi e sperimentazioni linguistiche. Storie Parallele è anche un festival che riflette sulla natura dei luoghi, che si svolge a Salandra, un paese dell’entroterra lucano con due volti: quello rigoglioso e boschivo che ci affaccia sulla statale 407 e quello arido e desertico dei calanchi. Due facce opposte per natura, colore e conformazione, che convivono da sempre resistendo al tempo, senza mai cambiare. Senza mai incontrarsi. Sembrano quasi essere la metafora della nostra natura, dei nostri pregi e dei nostri difetti. E forse il nostro obiettivo potrebbe proprio essere farle incontrare”. Insomma, un cinema che non è solo industria ed effetti speciali, ma un linguaggio artistico che vuole indagare sui luoghi interni ed il loro futuro. Ma qual è il destino che aspetta i piccoli paesi? Anche su questo punto Ragone sembra avere le idee molto chiare. “Durante questa edizione del Festival abbiamo organizzato un talk dal titolo “Riabitare i paesi: resilienza o resistenza?”, invitando diversi esperti che potessero declinare i dati attuali e la situazione dei piccoli centri. Il confronto è stato molto interessante, anche perché si sono avvicendati sguardi e angolazioni differenti. Al termine del talk è uscita fuori una proposta, secondo me, importante per la comunità: un laboratorio con gli abitanti, ovvero uno spazio di confronto costante tra la comunità che vive il luogo e gli esperti esterni, per individuare i bisogni degli abitanti e cercare di strutturare proposte per future politiche di sviluppo. Un’utopia? Noi ci crediamo e ci proveremo, coinvolgendo le attività di Salandra e gli amministratori. Il laboratorio con gli abitanti potrebbe essere anche un modo per evitare lo spopolamento e la scomparsa dei piccoli paesi. Se c’è sviluppo un paese non muore. Spero di non sbagliarmi. Infatti tutto ciò mi preoccupa tanto. Mi preoccupa il mutamento dei luoghi, la loro vecchiaia, le loro rughe e l’ossigeno che gli manca, la vita che non c’è. Ma se dovessero scomparire sono sicuro che il cinema continuerà a raccontarli, o almeno un certo tipo di cinema, quello che racconta la realtà. Si potranno raccontare le storie del passato, di chi ci viveva, come avviene in alcuni luoghi che oggi sono ormai disabitati come Alianello o Romagnano al Monte. Dentro i ruderi di quelle case si nascondono storie, fotografie, oggetti appartenuti a chi prima ci viveva. Il cinema, inoltre, è un mezzo di ricostruzione della realtà, può essere un antidoto per i luoghi abbandonati avendo la capacità di curare le ferite. E quando le storie finiranno, in questi luoghi rimarranno le immagini e la memoria”.
Non solo James Bond in terra lucana, ma anche un cinema di luoghi interiori e intimi che non conosce clamore mediatico ma che stupisce e incanta come una storia hollywoodiana. Il festival “Storie Parallele” di Salandra non si arrende e resiste, avanza e ricostruisce comunità.

 

(Le dichiarazioni di Nicola Ragone virgolettate sono tratte da un'intervista che l’autore dell’articolo ha fatto al regista ed è pubblicata sul blog del progetto “EnoTerra”, enoterra.eu)