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Danny De Vito e San Fele

Il paese del Vulture, da cui hanno origine i nonni dell’attore, è stato raccontato dal Washington Post come esempio di luogo ‘Covid free’.

di Sergio Ragone
08 ottobre 2021
4 min di lettura
di Sergio Ragone
08 ottobre 2021
4 min di lettura

La domanda è semplice: “Se avessi la capacità di tele-trasportarti ovunque sul pianeta, incluso tornare nel tempo, ovviamente, dove porteresti qualcuno e cosa speri di trovare?”. Ha un sussulto. Si ferma. Respira. Lo sguardo è quello di chi con la mente sta aprendo la valigia dei ricordi, delle emozioni più pure, del lessico familiare. E lo racconta, sempre, con orgoglio e fierezza, perché sa che lì è piantato il seme che l’alito di vento ha poi portato lontano, dall’altra parte dell’oceano.  La risposta è piena di dolcezza e poesia: “Ultimamente penso alle mie radici e da dove viene la mia famiglia. Penso di andare a San Fele, un paesino in Italia da dove veniva mio nonno, e se potessi portare qualcuno lì probabilmente porterei mia madre, mio padre e tutta la mia famiglia dal New Jersey per fargli vedere dove tutto è iniziato, dove mio nonno ha incontrato la nonna e come tutto è iniziato”. Lui è Danny De Vito, non ha certo bisogno di presentazione, che in più di un’occasione - e in questo caso specifico parliamo di un’intervista al “The Late Late Show with James Corden” della CBS - ha raccontato il sentimento di attaccamento alle radici familiari e a questo luogo, San Fele, che per lui è tutto, l’origine e la meta. Come quella volta che Jamie Oliver e Jimmy Doherty gli hanno cucinato un piatto della tradizione italiana e lui si è lasciato trasportare dai ricordi e dalle emozioni, guardando fotografie e leggendo la lettera inviata dal sindaco del Comune con la quale lo invitava a tornare presto nella sua terra di origine.

San Fele, scrigno a cielo aperto di bellezza e purezza, come solo le cose semplici sanno essere, che durante la prima ondata della pandemia ha conquistato la prima pagina del prestigioso Washington Post con un reportage dedicato proprio alla sua capacità di tenere sotto controllo l’epidemia. Così il corrispondente italiano apriva il suo racconto dal comune del Vulture: “La città in cima alla montagna è a quattro ore a sud di Roma, raggiungibile tramite strade a tornanti, opportunamente remote per arrivare a una realtà alternativa. Qui, lontano dalla pandemia di Coronavirus, in un luogo dove nessuno è risultato positivo o ammalato, era ora di pranzo e un ristorante in città si stava riempiendo: tavoli da quattro, tavoli da sei, un tavolo da otto, e poi il tavolo più grande di tutti, riservato agli insegnanti e alle scuole medie che festeggiavano la laurea. Gli adolescenti avevano sostenuto gli esami finali online - secondo le regole nazionali - ma questo era San Fele, quindi hanno potuto varcare le porte del ristorante, ridendo, mangiando, scambiandosi posti, senza maschere in vista. Anche gli insegnanti non indossavano mascherine. Né il sindaco, seduto a un altro tavolo. Né i musicisti dal vivo, che hanno iniziato a cantare a squarciagola in una condizione di festa che potrebbe aver luogo solo in un luogo in cui nessuno viene considerato una minaccia. ‘È quasi normale’, ha detto Elisabetta Chieca, 37 anni, consigliere comunale, seduta a un tavolo vicino, in cui il sindaco stava faticando a parlare sopra il frastuono. ‘Qui sono tutti del posto’, ha detto Donato Sperduto, il sindaco. ‘Tutti conoscono tutti’.

L’articolo è ancora online sul sito del giornale. Sulla pagina Facebook dell’amministrazione comunale fu salutata così questa inaspettata vetrina internazionale: “Grazie per averci dato l’occasione di presentare al mondo uno spaccato della nostra comunità consentendoci di superare i confini nazionali approdando oltre oceano. È stato un piacere ospitarli e coinvolgerli nella nostra quotidianità. Rinnoviamo i saluti e speriamo di rivederli presto”.

Il reportage del giugno 2020, nel titolo, poneva al lettore una domanda: quando il piccolo borgo riaprirà ai flussi turistici perderà il suo status ‘Covid free’? Sappiamo com’è andata, l’immediata ondata dopo le vacanze estive ha interessato anche luoghi e aree risparmiate in un primo tempo. Ma proprio oggi che viviamo ancora l’incubo della pandemia, anche se una luce si inizia ad intravedere grazie ai vaccini, e mentre ci apprestiamo a programmare una nuova importante stagione di ripresa e resilienza, non possiamo non ripartire proprio da questo scenario di bellezza lucana e radici che il mondo guarda, ammira e non vede l’ora di riabbracciare.