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Una questione di percezioni

A prevalere nell’immaginario collettivo è ancora l’immagine di una terra ancestrale, fuori dal tempo. E nessuno racconta la Basilicata meno suggestiva, quella reale e quotidiana. Quella dove in realtà è presente proprio la poesia

di Andrea Di Consoli
30 luglio 2021
5 min di lettura
di Andrea Di Consoli
30 luglio 2021
5 min di lettura

Raccontare la Basilicata significa prima di ogni cosa fare i conti con l’idea che si ha di questa regione. C’è chi la considera una terra esotica, chi emblema del sottosviluppo, chi un’isola antropologica di matrice leviana e demartiniana, chi una terra in costante mutamento socio-economico, chi una terra straordinariamente interessante da un punto di vista paesaggistico e naturalistico. Quando si decide di raccontare la Basilicata, dunque, bisogna mettere prima a fuoco l’idea dominante che si ha di questa regione, e provare a capire in che modo quest’idea dominante si è formata nel tempo. Cos’è per noi la Basilicata? In che modo si è formata la nostra immagine di essa? Attraverso quali racconti?

La Basilicata ha una storia millenaria, ma a prevalere nell’immaginario collettivo è ancora l’immagine leviana, ovvero l’immagine di una terra ancestrale, archetipica, fuori dal tempo, marginale, esclusa dalla Storia. Quest’immagine, con il tempo, si è trasformata, e si è fusa con immagini più moderne, ma sempre legate a un “altrove” rispetto al presente caotico e industriale, e principalmente riconducibili ad argomenti quali la natura, il benessere, la semplicità, l’armonia, la pace. Insomma, la Basilicata continua a essere percepita come una terra fuori dalla Storia, un’oasi di “alterità”, una sorta di “paradiso” dove mantenere in vita l’utopia di una vita non travolta dal benessere, dall’ambizione, dal conflitto, dal caos della modernità. Nel racconto della Basilicata, dunque, il paradigma leviano si è spostato verso un paradigma più bucolico, ma che comunque mantiene inalterato questo schema narrativo per cui la Basilicata rimane una sorta di territorio poetico della geografia italiana. E infatti questa terra ha dato all’Italia principalmente poeti, e ne cito alcuni notevoli dell’ultimo secolo: Scotellaro, Pierro, Sinisgalli, Riviello, Stolfi, Brescia, Totaro Ziella, Fusco, Cristina di Lagopesole, Finiguerra, Tramutoli, Brancale, Guida. È assai difficile uscire da questo schema, anche perché, per quanto stereotipato, è pur sempre vero. Il rischio è che la poesia lucana – poesia intesa come sentimento diffuso di questa terra, come indole – rischia di essere assorbita dallo storytelling pubblicitario e dal marketing promozionale. Il rischio, cioè, è quello di trasformare una passata “alterità” in una recita cinica, tenuta in vita per non deludere le aspettative di chi arriva in cerca di una bolla spirituale, psicologica ed emotiva. Intendiamoci, anche questa Basilicata post-moderna è reale – tutto è reale, anche la finzione. Ma la verità è che la Basilicata meno suggestiva e meno esotica – la Basilicata che potremmo definire reale e quotidiana – quella nessuno la racconta, proprio perché è una Basilicata che deluderebbe e svilirebbe i paradigmi leviani e bucolici.

Dunque questa terra deve rimanere nell’immaginario collettivo una sorta di infanzia della nazione, e chi porta il racconto su un territorio più realistico e “contaminato” rischia di risultare inopportuno. Eppure in questa terra ci sono state e ci sono discoteche, night, industrie, capannoni, aree di servizio, periferie, “serpentoni”, università, ristoranti alla moda, locali glam, centri commerciali, aree industriali, autostrade, quotidiani, televisioni, centri di ricerca. Ma raccontare questa Basilicata “normale” – parola insensata, che però aiuta a rendere più chiaro il mio ragionamento – è poco apprezzato, perché dalla Basilicata non ci si aspetta la “normalità”, bensì l’eccezionale, il misterioso, il sublime, l’estatico, l’inaudito. Tant’è che è pieno di inviati televisivi e di affabulatori che vengono in Basilicata in cerca di misteri, di suggestioni e di “affascini” a buon mercato, buoni per strappare qualche “wow”.

La cosa che forse non riuscirò mai a esprimere è il fatto che la poesia della Basilicata non bisogna cercarla in questa “alterità” manieristica, citazionistica e retorica, ma nella realtà così com’è. Faccio sempre l’esempio della Diga di Senise, che è stata costruita negli anni ‘70 per ragioni moderne – dare acqua a territori lucani e pugliesi poveri di risorse idriche – ma che sembra un luogo eterno – estremamente poetico – della Basilicata. Chi lo ha detto che le cose moderne non possono diventare poesia? Chi lo ha detto che solo nello schema leviano e bucolico è possibile trovare la poesia? Poesia è ovunque l’uomo lotta, spera, sogna, cade, ama, si dispera. Ecco perché questa regione si spopola sempre di più ed è così refrattaria ad accettare quello sviluppo che altrove è accettato con rassegnata consapevolezza: perché la Basilicata è stata eletta a terra dell’infanzia dell’Italia, e nessuno deve permettersi di “contaminarla”. Questo non fa mai fare i conti con la realtà così com’è – misera e sublime come tutte le realtà – ma costringe a stare dentro a uno schema narrativo tendenzioso e forzato, che da un lato sembra rassicurare, ma dall’altro crea frustrazione, perché recitare l’armonia, fingersi pacificati, mettere in scena la marginalità porta nel migliore dei casi a gettare la maschera e a emigrare.