Non è esagerato immaginare l’antica regione lucana come collante del Meridione, ponte verso i mercati europei, motore delle innovazioni tecnologiche ed energetiche.
Per illustrare i luoghi comuni attraverso i quali viene a volte descritta o evocata la Basilicata - la sua geografia e la sua storia, la sua stessa collocazione nel mondo - può servire il richiamo ad una piccola storiella che circola almeno da una quindicina d’anni, a cavallo tra una fake news e la tipica trasmissione del “telefono senza fili”. Fu un ministro italiano dei Beni Culturali e del turismo a metterla in circolazione, raccontando che il presidente del Consiglio dell’epoca, sbarcato a Dubai, aveva notato un cartello pubblicitario su cui campeggiava la scritta “Visitate la Basilicata”. E facendo notare l’incongruenza e la scarsa efficacia di un’azione di marketing territoriale del genere. “Chi volete che sappia a Dubai dove si trova la Basilicata?” era l’obiezione. Da quella prima versione cominciò una progressiva mutazione della storiella. Qualche altro politico raccontò di aver notato un cartello del genere, che però pare recitasse “visitate il Molise”. Altri, liberata del tutto la fantasia, trasformarono Dubai in Shangai, il “visitate la Basilicata” (o il Molise?) si trasformò in “Visita Metaponto”, e così via. Insomma, da allora, quando si vuole raccontare di come “non” fare promozione turistica o marketing territoriale la storiella riferita ad un luogo piccolo, poco conosciuto, dai tratti incerti e poco definiti, fa testo.
In effetti, a dirla tutta, il problema c’è, quando parliamo della Basilicata, e affonda le proprie radici molto indietro nel tempo. A partire da quella che era l’antica Lucania, la “terra della luce”, da cui - secondo una suggestiva tradizione mitica – i popoli antichi della penisola videro per la prima volta sorgere il sole. Un territorio che comprendeva anche l’attuale Basilicata ma era decisamente più esteso: abbracciava il Cilento e il Vallo di Diano, oggi campani, la zona da Castrovilli a Sibari, parte integrante dell’attuale Calabria, per giungere fino al golfo di Taranto. Rimase tale il territorio regionale - pur con varie denominazioni - fino al Medioevo, quando, con i Normanni, perse, oltre al nome, i suoi antichi confini, e solo in successive tappe aggiungendo la zona del Vulture e quella che oggi è la provincia di Matera. Quindi, in estrema e rozza sintesi, parliamo di una regione con una forte identità storica, ma con un territorio non facilmente identificabile, e comunque naturalmente, storicamente e culturalmente contaminato con le regioni circostanti: Puglia, Campania, Calabria.
Per queste ragioni oggi questo pezzo di Mezzogiorno sembra fatto apposta - verrebbe da dire - per essere scomposto e ricomposto come un puzzle nelle suggestioni che periodicamente vengono avanti nel dibattito politico e istituzionale contemporaneo sulle cosiddette macroregioni. Dalla formulazione che spesso si ricorda - quella del 1992 della Fondazione Agnelli - che prevedeva una riduzione delle regioni da 20 a 12, nel nome dell’“autosufficienza finanziaria” e della “predisposizione a progetti di sviluppo”, con la Basilicata divisa – diciamo meglio spaccata - in due, con la provincia di Potenza accorpata alla Campania, quella di Matera alla Puglia. A quella di venti anni dopo, del 2014, quando si parlò di una macroregione del Levante (con la Puglia, parte del Molise e della Basilicata) e una di Ponente, cui sarebbero andate la provincia di Potenza e la Calabria. Fino all’ipotesi, ventilata nel 2020, di una macroregione del Sud, che tenesse insieme l’intera sua parte continentale. Tutte proposte nelle quali la Basilicata si trova sempre a essere il centro geografico, ma raramente viene raccontata e promossa come snodo vitale, perno strategico del Mezzogiorno futuro. Eppure ormai è noto a tutti che la Basilicata vanta posizioni altissime nelle classifiche di gradimento turistico, in particolar modo grazie a Matera, che è meta importante di flussi turistici dall’Oriente. Così come è cresciuta la sua competitività sul piano dell’enogastronomia, delle produzioni agricole di qualità e dell’artigianato di pregio. Per non dire che anche i suoi insediamenti industriali hanno un rilievo non da poco nel panorama meridionale. E allora non è affatto esagerato immaginare l’antica regione lucana come collante del Mezzogiorno, ponte verso i mercati europei, motore delle innovazioni tecnologiche ed energetiche necessarie per la transizione ecologica, le smart grid, le energie rinnovabili.
In questo senso sarebbe utile aprirlo davvero, il dibattito su come riorganizzare i territori del Mezzogiorno. A patto che nuovi assetti non siano pure e semplici riorganizzazioni di potere. Se invece nuove istituzioni servissero a fare pesare di più un territorio complesso come quello lucano, se la Basilicata fosse così collocata al centro di grandi programmi di sviluppo infrastrutturale fisico e digitale, un territorio sempre descritto come svantaggiato e difficile potrebbe davvero trovare una sua nuova ragion d’essere nel mondo globale.