Le parole che l’attuale premier espresse nel 2011, in qualità di Governatore della Banca d’Italia, sono ancora attuali e ci indicano la rotta che dovrebbe seguire la Basilicata.
In questa fase delicata di riprogrammazione e attese può essere molto utile rileggere uno dei più significativi interventi pubblici dell’attuale presidente del Consiglio, Mario Draghi. Sicuramente il suo “whatever it takes” e l’ultimo discorso tenuto in apertura dell’edizione 2020 del Meeting di Rimini sono ormai diventati iconici, ma la nostra opera di rilettura si immerge nelle curve della più lontana memoria e si ferma al 12 ottobre 2011, quando l’allora governatore della Banca d’Italia prese la parola e diede avvio al convegno internazionale per le Celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia “L’Italia e l’economia internazionale, 1861-2011” con una sua prolusione. Rileggendolo ora e soffermandoci su alcuni passaggi, non possiamo non trovare elementi di stringente attualità. Nel suo intervento, Draghi ripercorre alcuni fondamentali momenti di crisi e di ripartenza che hanno caratterizzato la storia del nostro Paese. Eccone uno: “L’obiettivo di rilanciare la crescita è finalmente oggi largamente condiviso, ma l’adozione delle misure necessarie si è finora scontrata con difficoltà apparentemente insormontabili. Eppure, sia la storia – anche quella che emerge dalle ricerche che saranno discusse qui in questi giorni – sia gli elementi positivi che oggi pur si colgono nel Paese mostrano che esso non è al di sopra delle nostre possibilità. Nel 1950 pochi osservatori avrebbero scommesso che nel giro di un paio di decenni l’Italia sarebbe diventata una economia industriale europea. Il Paese dimostrò allora una straordinaria capacità di adattare le tecnologie importate alle condizioni del Paese, di utilizzare per la moderna industria l’inventiva e la flessibilità dell’artigiano e del piccolo imprenditore. Il distretto industriale e una impresa pubblica per anni fucina di manager e di innovazione attrassero in modi diversi l’attenzione del mondo. Fu l’unica volta dopo l’Unità che per un lungo periodo il Mezzogiorno crebbe più dell’intero Paese: dal 1951 al 1973 il rapporto fra prodotto pro capite a prezzi correnti del Sud e prodotto nazionale pro capite salì dal 63 al 70 percento. Possiamo pensare che un sistema sociale, un’imprenditoria, una manodopera che furono i protagonisti della lunga fase di crescita impetuosa e poi ancora attraverso i difficilissimi anni Settanta e i cambiamenti del contesto esterno nel decennio successivo abbiano consumata tutta la loro forza? Il Paese è ancora ricco di imprese di successo, anche in comparti chiave come la robotica e la meccanica; non mancano nella società indicazioni di una vitalità tutt’altro che spenta”. Nel suo argomentare Draghi pone l’accento anche sul Mezzogiorno e sulla sua capacità di saper uscire dal cono d’ombra: “Le capacità di progresso del Mezzogiorno sono testimoniate da diversi casi che indicano come si possano superare arretratezze e valorizzare i potenziali dell’area. Ne è un esempio il recupero urbano di Matera e di altri centri storici del Mezzogiorno che hanno saputo acquisire nuova vitalità ambientale e culturale. In Sicilia, Puglia, Campania non mancano esperienze positive nei comparti dell’elettronica, delle fonti rinnovabili, della meccatronica, della componentistica”.
Matera come modello che brilla e fa brillare il Mezzogiorno, un riconoscimento ulteriore – datato 2011 – che spiega con poche ma efficaci parole perché l’anno da capitale europea della cultura non è stato un fatto casuale o determinato da una favorevole congiuntura astrale, ma è un fortissimo attestato per una storia che viene da molto lontano e che ha l’ambizione di arrivare lontanissimo. Sempre attingendo al discorso dell’allora Governatore, possiamo trovare un’indicazione di metodo per provare a superare questa difficilissima fase (pandemica) che stiamo vivendo, e quella (economica e sociale) che verrà. Draghi dice: “L’Italia, che in età giolittiana si era inserita nella prima globalizzazione, restò al margine anche del tenue sviluppo di un’Europa soffocata dal protezionismo. Le velleità, purtroppo ricorrenti, del poter fare da soli furono negli anni Trenta duramente smentite dai fatti, soprattutto nel nostro Paese, preda della demagogia autarchica. Le classi dirigenti postbelliche appresero questa lezione. In condizioni economiche e sociali tra le più difficili mai affrontate dal Paese, impegnarono con decisione l’Italia nel processo di integrazione internazionale ed europea. La loro lungimiranza e il loro coraggio politico, rappresentano, insieme alla riconquistata democrazia, uno dei pilastri su cui si è fondata la mirabile crescita economica e civile della nazione”. E ancora, “L’Italia deve oggi saper ritrovare quella condivisione di valori comuni che, messi in sordina gli interessi di fazione, è essenziale per mobilitare le energie capaci di realizzare, in anni non lontani, una rigogliosa crescita economica e di offrire credibili speranze alle nuove generazioni”.
È tutto in questo appello che risiedono le speranze e le aspettative dei lucani, che temono un pericoloso arretramento dei tanti progressi registrati in questi anni, in molti settori della nostra comunità regionale. Un appello che oggi tanti rivolgono ai policy maker affinché la Basilicata possa non essere più al traino ma provare ad essere motore del cambiamento, dell’innovazione, in più settori, e generatrice di futuro. Le sfide della transizione energetica e di quella digitale possono rappresentare due strategici asset di sviluppo e ridisegnare il cammino della regione, che ha già dimostrato al mondo intero, con la forza delle idee e la lucentezza della cultura, che la geografia non è più un destino. Parafrasando le parole dello storico Cipolla, la Basilicata “prospera quando sa produrre cose che piacciono al mondo”. Qui, più che altrove, può nascere davvero una possibile speranza di futuro. Coraggio!