Un sottile filo materico tra Sardegna e Basilicata
Il trombettista sardo Paolo Fresu, che ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Matera, ci parla del suo legame con la Città dei Sassi e dei punti in comune tra la Lucania e la sua terra.
Non è un caso che quest’anno sia proprio lui il testimonial della Festa della Musica 2020, nata in Francia come occasione per celebrare la musica nella sua espressione spontanea e sociale. Non è un caso perché oggi il jazz è diventato musica per tutti, non più d’élite, strumento di coesione, di dialogo, e questo è anche grazie a lui, che è promotore di questa visione da sempre.
Paolo Fresu, trombettista sardo, nato e cresciuto nella Gallura profonda – un’infanzia in una casa di pastori e di contadini, all’ombra delle rocce granitiche del Limbara, l’iniziazione alla musica a undici anni con la banda del paese – oggi è uno dei musicisti jazz più famosi al mondo. E non solo per la sua indiscutibile bravura ma anche perché da anni, nella sua prolifica attività, promuove lo studio, lo scambio e la condivisione del jazz ovunque nel mondo. Proprio come è successo a Matera, che gli ha conferito la cittadinanza onoraria il 27 gennaio scorso. Ecco cosa ci ha raccontato, pochi giorni dopo.
Ci sono molti significati diversi. Innanzitutto, è una città che frequento da trentatré anni e che ho visto crescere e arrivare ad essere Capitale della Cultura. Si tratta di un progresso importante al quale noi siamo legati e crediamo, in qualche modo, di avervi anche contribuito. Questo riconoscimento, inoltre, ha un’importanza da un punto di vista umano: c’è stato un rapporto solidale che ha aperto le porte di questo bellissimo matrimonio, se vogliamo chiamarlo così, e che si è pian piano consolidato nel tempo. Questi aspetti sono quelli che io, d’altronde, scelgo ogni giorno nella vita che faccio, quando scelgo un musicista con cui suonare, così come quando costruisco i gruppi: prima della musica, ci deve essere la comunicazione. E trovo che a Matera questo ci sia e soprattutto ci sia sempre stato.
Ettore Fioravanti, il mio batterista, aveva già avuto dei rapporti con Matera. Con Gigi Esposito, presidente dell’Onyx Jazz Club, ci siamo conosciuti a Roccella Jonica e, dopo questo incontro, ci ha invitato a Matera. Così, nel 1987, siamo andati lì per la prima volta con il mio quintetto, che allora già esisteva da tre anni, e abbiamo fatto un seminario. È proprio in quell’occasione che è nato questo rapporto e anche la grande realtà dell’Onyx, che ha costruito molte cose dal punto di vista jazzistico. Da quella volta, in cui siamo stati molto bene, siamo ritornati più volte di anno in anno, realizzando anche progetti particolari: dal concerto - creato con altri musicisti sparsi in una grande cava, in cui si lavorava con gli echi - che si chiamava Risultanze, al concerto per l’allunaggio, che tenemmo nel Centro di Geodesia Spaziale di Murgia Tirlecchia, passando per eventi in vari luoghi, dal palazzo Lanfranchi al Sasso Caveoso, a Casa Cava. In questi trentatré anni, dunque, abbiamo sviluppato tante cose.
Sono due luoghi fondamentalmente legati alla pietra, alla terra. In Sardegna c’è il granito, in Basilicata c’è un’altra pietra, ma sempre gente di pietra siamo. La Sardegna è un luogo di terra, nonostante sia circondata dal mare. Io, personalmente, sono uomo di terra, sono figlio di pastori, di contadini, e questa idea della pietra – a Matera – che diventa elemento forgiante, una pietra da abitare, da costruire, che diventa luogo, è molto simile in Sardegna, alle nostre Domus de Janas. Quando si arriva a Matera non si può non pensare alla pietra e a quello che la pietra ha suggerito antropologicamente a quella città. E poi c’è la pietra intesa come terra, una terra che sostenta e che diventa rigenerazione. Proprio in questi giorni c’è, a Palazzo Lanfranchi, una mostra di Maria Lai, una delle più grandi artiste contemporanee della Sardegna, con Antonio Marras, lo stilista sardo, e anche lì c’è questo racconto molto sentito della relazione con la pietra, con il tessuto, con l’ordito. Ho trovato che queste parole legate alla materia, e quindi - in un gioco lessicale - a Matera potessero essere il punto di raccordo tra me, artista sardo, e Matera, della quale mi viene concessa la cittadinanza onoraria.
Secondo me sta un po’ cambiando. Posto che la partenza non è un fatto negativo: io credo nel bisogno della partenza, che significa scambio, conoscenza. L’importante è che la partenza non precluda la possibilità di tornare, perché se uno parte e porta fuori tutto quello che ha e poi non lo condivide con le proprie comunità, quei territori si impoveriscono. È quello che nel piccolo ho fatto io: io sono partito, ne avevo bisogno, non avrei potuto fare il musicista jazz restando in Sardegna, ma quello che ho appreso fuori, pur vivendo fuori dalla Sardegna, lo porto lì. Il punto non è partire o non partire, ma piuttosto portare quello che si è imparato. Se questo non accade, è ovvio che poi queste comunità si impoveriscono e muoiono. Questo vale sia per la Sardegna che per la Basilicata.
I progetti sono molti, come sempre. Abbiamo chiuso la tournée “Tempo di Chet” il 12 febbraio. Ora farò dei concerti in Germania con Daniele Di Bonaventura e poi partirà una lunghissima tourneè europea in duo con il contrabbassista svedese Lars Danielsson. Ho in programma delle registrazioni importanti, tra cui la riedizione di un vecchio disco, “Wanderlust”, che poi porteremo in tournée. Il 21 giugno, poi, sarò testimonial nazionale della Festa della Musica 2020 che, come ogni anno, si svolge in tutta Italia. Sono fiero di esserlo, soprattutto quest’anno che il tema è l’abbattimento delle barriere e dei confini, e credo che sia importante che il testimone di quest’anno sia un musicista jazz. Infine ci sono tutti i progetti estivi, tra cui quello dedicato a David Bowie con Petra Magoni e Christian Meyer, il Festival di Vicenza e il Festival di Berchidda, che quest’anno giunge alla sua trentatreesima edizione. Insomma, non ci annoiamo.