20/08/2021 - Silvia, scappata da casa dopo una violenza subita dal patrigno, è costretta a ritornarvi in seguito alla scoperta che il figlio Giustino (spacciato per fratellastro) è in fin di vita. Tornata dunque a Maratea con Giovanni, innamorato di lei ma non ricambiato, Silvia si fa convincere a restare dopo i funerali del figlioletto proprio dal patrigno. Il romanzo si interrompe quando la verità su quello che è accaduto viene finalmente a galla.
L’incompiuto, il terrore di ogni scrittore e di ogni avido lettore. Non c’è niente di peggio di un romanzo che non ha fine. Ma non è il caso di “Fuoco grande”, lavoro a quattro mani di Cesare Pavese e Bianca Garufi, che cominciarono a scrivere il romanzo attorno al 1946. Lui scriveva i capitoli dal punto di vista del protagonista maschile, Giovanni, lei quelli dal punto di vista della protagonista femminile, Silvia. I capitoli venivano scambiati tramite posta, non esistendo all’epoca altra via.
Il romanzo risulta incompiuto, certo, ma non lo considerava tale la Garufi: “l’interruzione del racconto al culmine del viaggio di Silvia e della sua famiglia quando il segreto di Silvia e della sua famiglia è svelato, fa sì che la carica emotiva e la tensione narrativa raggiunta dalla vicenda in quel punto può considerare il romanzo non come una parte, ma come un'opera in sé compiuta”. Parliamo dunque di un capolavoro, a cui Maratea fa da sfondo e contorno; un capolavoro, sì, interrotto dalle difficoltà di scrittura date dalla distanza e dalla morte di Pavese (1950) ma che può ugualmente rivendicare il suo posto tra le grandi opere della letteratura italiana.