20/08/2021 - In principio era la festa dell’emigrante, ne erano piene le piazze della Basilicata e della Calabria. Erano degli istmi tra chi era partito e chi era rimasto in paesi oggi abbandonati soprattutto da questi ultimi, per dirla con Arminio. Era una riconciliazione di dialetti, ricordi e spesso matrimoni. Rigorosamente ad agosto. Anche le feste dell’Unità, paese per paese, tra tutte quelle di partito, erano vere occasioni di “spartenze”, cioè di condivisioni, al di là della militanza. E di scoppiettanti finali musicali. I festival in Italia erano pochissimi, sarebbero nati negli anni Settanta sul modello dell’estate romana di Nicolini.
L’estate, passato ferragosto, era soprattutto programmazione invernale, appunti su cui ragionare alla ripresa. In questa seconda estate di fiducia e paure, con caldo torrido e temporali, ottimismo, voglia di futuro e scoraggiamento, bisogna stare lontani da quella che Montanelli chiamava, riferendosi proprio alla Basilicata, la terra degli scettici. Anzi, “dove si nasce scettici”. Parlava dello sviluppo che porta benessere ma “incontra anche molti ostacoli e suscita le più impensate diffidenze”. Nell’epoca in cui, è il caso di dire, non ci sono più stagioni per darsi delle priorità, complici, oltre alle nostre relazioni connesse in un tempo e in uno spazio indefiniti, anche la nostra personalissima e globale guerra sanitaria, bisogna recuperare schemi semplici di azione e programmazione, un piccolo “Diario d’inverno”, che non c’entra niente con l’angosciosa dispersione delle nostre vite come nel libro di Paul Auster. Esattamente il contrario. Possiamo tornare a scandire il nostro tempo condiviso con gli altri con piccole dosi di concretezza costruttiva, con fiducia, con coraggio. Chiedendo conto ma facendo anche di nostro. In fondo, pensateci, non abbiamo alternativa.
