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La società lucana alla prova: dal “rito” al “calcolo”

L’esperimento di “Algoritmo”, il cortometraggio di Valerio Calabrese che ricostruisce con l’intelligenza artificiale il famoso viaggio di Ernesto De Martino a Colobraro. Un’operazione sociologica sul concetto di innovazione

di Lucia Serino
14 febbraio 2025
8 min di lettura
di Lucia Serino
14 febbraio 2025
8 min di lettura

Come l’innovazione può agire sulle nostre intenzioni narrative? La tecnologia può aiutarci a decidere come costruire un immaginario identitario? Prendiamo l’intelligenza artificiale: che cosa ci restituisce, in termini di rappresentazione sociale, quando peschiamo nel suo database che proprio noi alimentiamo? Lo scarto tra l’utile e l’inutile, che è un calcolo, ossia un algoritmo: cosa seleziona questo esercizio matematico? Come ci rappresenta? “A quesiti complessi non cerco risposte semplici, mi accontento di generare un dibattito”, dice Valerio Calabrese, regista potentino autore di un cortometraggio, “Algoritmo”, che racconta la ben nota storia del paese magico lucano, Colobraro, col supporto dell’intelligenza artificiale generativa. Anzi, è tutto generato da AI.

Partiamo da un concetto molto generico e onnicomprensivo, l’innovazione al servizio dei territori. “Quando sento parlare di innovazione e valorizzazione del territorio mi interrogo sempre su quale possa essere un processo concreto per tradurlo, senza rifugiarmi in retoriche o panegirici. Secondo quali valori stiamo valorizzando? Quando parliamo di innovazione, innovazione per chi e verso cosa? La tecnologia, ad esempio, non è neutrale, perché incorpora già visioni del mondo, pregiudizi, gerarchie di valori.
L’AI generativa non sfugge a questo registro e può alimentare a velocità vertiginose dei fraintendimenti se non abbiamo il controllo culturale per contraddirla. Ma può anche diventare quello specchio straniante che ci permette di superare l’autorappresentazione consolatoria e vedere finalmente la nostra vera immagine, con tutte le sue contraddizioni e potenzialità inespresse”.

“Algoritmo” è una produzione realizzata in collaborazione col Cluster Basilicata Creativa in occasione di “Una Notte al Borgo”, il terzo evento del 2024 a cura del Polo europeo per l’innovazione digitale EDIH Heritage Smart Lab, dedicato alle pubbliche amministrazioni. Quella storia di ritualità e magia, sulla quale da tempo le politiche pubbliche locali sono intervenute ribaltandone scaramanticamente il significato a uso di promozione territoriale, è forse il pezzo di storia più identitario della Basilicata raccontata da Ernesto De Martino negli anni Cinquanta. È il 29 settembre 1952, l’antropologo Ernesto De Martino, accompagnato dall’etnologa, e sua compagna di vita, Vittoria De Palma e dal fotografo Franco Pinna, arriva a Colobraro per conoscere e capire perché questo paese sia definito “l’innominabile”. Ancora oggi si fanno gli scongiuri ma ormai la sfiga qui è diventata arte, spettacolo, identità.
De Martino scrive “Sud e Magia”, un libro che ha influenzato l’immaginario extra moenia lucano forse al pari di “Cristo si è fermato ad Eboli”. Una storia della quale l’aspirazione di una Basilicata contemporanea farebbe volentieri a meno, considerandola un retaggio ingombrante da cui liberarsi per imporsi sul mercato del nuovo, smarcandosi dall’antico superato e limitante.
Eppure, è proprio la tecnologia che può fare “l’operazione magica”, cioè tentare nuove connessioni tra storia ereditata e scelte narrative sull’identità locale.
“Algoritmo” - donato al Comune di Colobraro per implementare l’offerta culturale di un piccolo Comune e supportare una riflessione collettiva sulla valorizzazione del patrimonio culturale immateriale - è ispirato alla storia del borgo materano (che a questo punto diventa un riferimento simbolico di tutta la società lucana) a partire proprio dallo sguardo dei protagonisti, Ernesto De Martino e Franco Pinna, dalla riproduzione delle pieghe delle rughe delle masciare ai preti che volano, ai fazzoletti neri annodati sulle teste delle donne. Ventotto giorni di lavoro, otto minuti realizzati dalla selezione di ottomila immagini generate dai prompt.

Per fare un’operazione di che tipo?

Fare un passo indietro, senza essere offuscati dalla paura della marginalità, per capire chi sei per poi decidere chi vuoi essere da grande. Un algoritmo è una sequenza finita di operazioni di calcolo che, eseguite in un ordine preciso, producono un risultato desiderato. La masciara, senza saperlo, eseguiva un algoritmo sociale: diagnosticava problemi, prescriveva soluzioni, mediava conflitti. Una serie di passi codificati che la comunità aveva elaborato per rispondere a bisogni concreti o per allontanare quello che De Martino definisce l’orizzonte della crisi.

Ovviamente un rito magico non può in alcun modo definirsi un metodo affidabile.

È così, appartiene a una dimensione prescientifica e a una visione del mondo che oggi non possiamo più condividere. Tuttavia, mi è utile come termine di paragone per evidenziare un paradosso della contemporaneità: mentre quelle pratiche, pur nella loro arretratezza, nascevano da una conoscenza profonda del territorio e delle sue dinamiche sociali (la masciara conosceva ogni famiglia, ogni storia, ogni dinamica sociale del paese), gli algoritmi digitali di oggi, pur nella loro sofisticazione tecnologica, sono simulazioni matematiche standardizzate che non trattano il contesto, bensì le categorie. È una differenza che pesa non poco.

Spieghi meglio…

È come se avessimo guadagnato in precisione tecnica, ma perso in precisione sociale. La vera sfida oggi è capire come gli algoritmi digitali possano imparare da questa sapienza sociale locale. Una battaglia che, fino ad oggi, stiamo perdendo miseramente. L’antropologo Angelo Lucano Larotonda (è stato docente dell’Università della Basilicata, n.d.r.)  che ha sempre avuto il dono di leggere i fenomeni sociali lucani con straordinaria sensibilità, racconta come il carnevale lucano fosse espressione di un pensiero immaginativo che sapeva leggere e rappresentare con precisione le tensioni della comunità. I contadini, attraverso il travestimento parodico, non facevano folclore ma analisi sociale, non evasione, ma critica.

Sta dicendo che la valorizzazione come marketing territoriale potrebbe far perdere quel valore? Ma così non rischiamo di essere ingabbiati nel tempo?

Quella capacità di rappresentazione ha valore proprio perché nasce spontanea dal basso, dalla conoscenza intima delle dinamiche sociali. Nel momento in cui proviamo a valorizzarla, a innovarla, a renderla attrattiva secondo logiche di marketing standardizzate, ne perdiamo l’essenza profonda. È come voler imbrigliare il pensiero immaginativo in schemi prestabiliti: più cerchiamo di controllarlo e standardizzarlo, più ne annulliamo la forza dirompente e la capacità di leggere davvero la società.
Calabrese ha condotto un esperimento sociale in un altro video performance dal titolo “Mosaico”: ha chiesto all’intelligenza artificiale di confrontare il modello femminile lucano con quello milanese. Il risultato è stato una cartografia perfetta dei nostri pregiudizi: da una parte la donna milanese rappresentata secondo tutti i canoni del successo contemporaneo - dalla postura al vestiario, dall’espressione all’ambientazione; dall’altra le donne lucane cristallizzate nell’immagine delle vedove vestite di nero, come se il lutto fosse l’unica dimensione possibile della femminilità meridionale.
Ma il punto cruciale non è stabilire quale di queste rappresentazioni sia “vera”. La questione è più profonda secondo Calabrese: “L’AI non ha un’etica, ha solo policies di regolamentazione. Non è un oracolo da interrogare, è uno specchio che riflette e amplifica i nostri stessi pregiudizi. L’algoritmo marginalizzerà automaticamente tutto ciò che non rientra nei canoni estetici dominanti: il dolore diventa tabù, la vecchiaia un difetto da correggere, la povertà un elemento da cancellare. L’esempio è lampante quando si chiede all’AI di rappresentare un settantenne in movimento: l’algoritmo, incapace di concepire una vitalità che non sia quella del corpo giovane e prestante, lo trasforma automaticamente in un atleta o in un supereroe. Come se l’unica forma di dinamismo accettabile fosse quella della performance fisica, cancellando tutta la complessità dell’esperienza umana. La strada è in salita per chi non vive al centro del mondo. Bisogna recuperare qualche pezzo dal nostro passato, forse - conclude Calabrese - stavamo facendo calcoli e non magie”.