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Fine Covid, nuovo umanesimo

Una nuova epidemia dilaga, la solitudine. Ma i borghi lucani, per quanto piccoli, sanno come adattarsi e aprirsi al prossimo.

19 maggio 2023
3 min di lettura
19 maggio 2023
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19/05/2023 - Negli stessi giorni in cui l’Oms ha sancito la fine della pandemia da Covid, il Governo americano ha dichiarato ufficialmente aperta un’altra epidemia, la solitudine. Con atto ufficiale di Vivek Murthy, capo operativo del “Public Health Service Commissioned Corps”. La solitudine è, cioè, un’emergenza sanitaria, devastante come una malattia, non è un virus ma una condizione sociale ed esistenziale. Non è l’eredità dell’isolamento da Covid. Le restrizioni alla mobilità le abbiamo ampiamente superate “invadendo” di nuovo il mondo con flussi superiori a quelli del 2019 (al netto delle diseguaglianze che sono cresciute). La solitudine è una condizione occidentale lentamente avanzata nella modernità urbana, non ha nulla di romantico-letterario, ha a che fare -piuttosto- con la progressiva erosione di valori comunitari e collettivi, aggravata dalla progressiva sostituzione di abilità umane delegate ad altre forme di intelligenza, ulteriormente aggravata – questo sì - dalle attività “da remoto” generate dall’emergenza Covid. Se stringiamo l’orizzonte al di qua dell’oceano riducendo via via il focus fino ad arrivare a quel puntino piccolissimo sul mappamondo che è la nostra Basilicata, il ragionamento non si fa, per fortuna, più pericoloso ma non è inesistente. La solitudine non ha a che fare - come si potrebbe immaginare - con lo spopolamento, che è un dato oggettivo e non una condizione mentale. Le reti sociali di piccoli territori come la Basilicata (a Potenza ci sono più oratori che scuole, ad esempio, le Rsa sono poche e non per mancanza di welfare ma perché esiste ancora una cura domestica) rappresentano l’ultimo scudo ai muri relazionali del nuovo secolo. A Carbone, curvoni per arrivarci, sono rimasti in pochissimi, ma si vive per strada; ad Aliano ti ospitano nelle case durante le feste; a Pietrapertosa, sotto le rocce sporgenti delle Dolomiti lucane, ti aprono le porte per un succo di frutta. Provare per credere. Anche Matera, il luogo più internazionale della Basilicata, finora è riuscita a mettersi al riparo dalla tentazione di trasformarsi in una Disneyland come invece moltissimi luoghi di eccellenza turistica dove le comunità si sono trasformate in community, hanno cioè espulso residenti, ridotti i servizi, trasformato l’ultima casa in b&b e convertito l’alimentari di quartiere in un food experience da aprile a ottobre. All’onda dei fenomeni globali, certo, non si sfugge, eppure ogni territorio può adattarsi e cercare soluzioni differenti al proprio interno.  Come stiamo cercando di raccontare qui ogni settimana, le grandi trasformazioni non devono essere una cesura traumatica. Le connessioni digitali, irrinunciabili per sopperire alla frammentazione territoriale di una geografia come quella lucana, non possono non accompagnarsi alla coltivazione di un umanesimo che ancora qui non si è smarrito, se non vogliamo che di prossimità restino solo le case della salute previste dal Pnrr. È una “visione”, stavolta non una parola vuota ma un indirizzo preciso su cui vale la pena confrontarsi.

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