16/09/2022 - A scuola appena avviata, mentre tutti discutono del ritorno alla normalità pre-Covid, su un argomento molto serio si registra una rimozione radicata e abituale: parliamo dei Neet, i ragazzi che non studiano, non lavorano e non ricevono alcun tipo di formazione, in sostanza non fanno nulla. Numeri importanti soprattutto qui al Meridione in uno scenario fatto di dispersione scolastica, docenti avviliti, dirigenti ridotti loro malgrado al ruolo di burocrati e passacarte. Sullo sfondo c’è lo stato d’animo delle famiglie in condizioni di disagio economico che vedono la scuola per i propri figli come insostenibile perdita di tempo, insopportabile sospensione dal mondo del lavoro, lavoro quale che sia. Un sentimento che sta attraversando anche le classi sociali più abbienti dove va maturando la convinzione, per esempio, che sia necessario spingere la scuola a onorare quasi esclusivamente la dimensione unica del lavoro, della preparazione all’impiego, della monetizzazione immediata del sapere. Si intravede, in ultima analisi, una considerazione pressoché esclusiva per la dimensione di ritorno economico del tempo impiegato a studiare, accompagnata da un'insofferenza crescente verso l’idea di scuola come luogo di crescita, di messa a sistema di una coscienza civile basata sulla crescita culturale e sulla consapevolezza intellettuale. In Basilicata (dati del 2020) l’incidenza dei giovani Neet è del 26,3%, +0,3% rispetto al periodo pre-Covid, dove prevale la presenza femminile. La percentuale è più alta della media nazionale. C’è insomma, alle nostre latitudini, il grande tema della povertà educativa, che sembra essere fuori dal dibattito pubblico.