08/10/2021 - C’è un’Italia minore, quella che si è guadagnata la scena nei mesi della grande paura. È l’Italia dei piccoli comuni, delle aree interne, sconosciuta, piena di mete spesso raggiunte col gusto di una scoperta tra l’esotico e il fantastico. Quest’Italia minore, che è soprattutto quella della dorsale appenninica, ma include anche molti piccolissimi centri costieri, esce dal voto amministrativo spesso con il deficit democratico di una competizione elettorale che è stata, di fatto, la corsa di un solo candidato. In Basilicata è successo in 6 comuni sui 26 chiamati al voto. Una scelta il più delle volte involontaria, quasi sempre inevitabile, là dove si deve fare i conti con i numeri del depauperamento demografico e dove il senso della partecipazione è evidentemente frustrato anche dall’età avanzata dei residenti. Ma è anche la deriva estrema di una totale cesura della politica dalla società che, se nelle città, segna una riduzione dell’affluenza elettorale, nei piccoli comuni (dove un tempo si registrava una grande vivacità in vista del voto) significa la catabasi della democrazia.
A quest’Italia però bisogna fare attenzione, la Basilicata ne è un esempio. Anche per coerenza con quanto è stato teorizzato nei mesi acuti dell’isolamento da Covid. Le amministrazioni in questione non hanno strumenti per una progettualità di rete, spesso condizione indispensabile per accedere a qualunque forma di risorsa pubblica. Se l’idea che seduceva tanto gli italiani, quella del southworking, era già accompagnata dalla consapevolezza della necessità di un sistema di servizi, oggi che il grande piano della ripresa entra nella fase concreta, c’è bisogno che i nuovi sindaci dei micro-comuni siano dentro una strategia di coesione e co-progettazione. Chi tiene la regia? I comuni capofila di area? La questione va affrontata, possibilmente non solo da Linea verde.
