06/08/2021 - Oggi lo chiameremmo brand journalism. All’epoca, siamo negli anni ‘50, era la grande stampa che accompagnava gli investimenti del capitalismo italiano e veniva mandata avanti, per così dire, per creare il contesto. In verità gli articoli che Indro Montanelli scrisse su Maratea e pubblicò sul Corriere al seguito del conte Rivetti (che venne ad aprire la Marzotto) non sono affatto pagine memorabili. C’era molto disprezzo nelle parole del giornalista, persino irrisione sulla scarsa modernità dei marateoti, popolo di analfabeti. Un contesto selvaggio in cui doveva spiccare l’opera benefica dell’industriale del Nord. Non meno esotiche le pagine di Camilla Cederna, che si divertiva a raccontare lo stupore delle amiche milanesi alla notizia di una sua vacanza nel golfo di Policastro. Pensate a come è cambiato il senso di costruzione di una comunità da allora. Che valore potevano avere parole quali coesione, inclusione, contaminazione, scambio. In mezzo ci sono tutte le controversie della questione meridionale. Nella quale la piccola Maratea, argine di brutture edilizie tra la Campania e la Calabria, si è presa una bella rivincita. Oggi, nei giardini che furono del conte Rivetti, può consentirsi il lusso di ospitare Barbera, il direttore della mostra del cinema di Venezia, o il regista premio Oscar Paolo Sorrentino o donna Sophia. Non è solo il glamour di un ormai consolidato appuntamento di cinema che, forse un po’ eccessivamente, si chiama Marateale ammiccando alla Berlinale. È la forza attrattiva di un luogo che riesce a fare accordi con Trenitalia bypassando programmi regionali e i celeberrimi tavoli di concertazione. È cambiata la reputazione di un luogo che la stessa Basilicata stenta a collocare come suo. “Laggiù c’è una Florida”, scriveva Montanelli. È il 9 settembre 1956, il pezzo del Corriere è intitolato “La natura e la tecnica non fanno salti”. Questo un “pezzo del pezzo”:
“...Quest’anno le vacanze hanno portato nel Sud nutrite schiere di settentrionali. Non so quanti ve ne siano andati. Non so nemmeno se il fenomeno sia stato statisticamente controllato. Ma so con precisione che, nel mio stesso cerchio di conoscenze, non si contano quelle che, voltate le spalle a Portofino, al Forte de’ Marmi e a Cortina, hanno preso la via del Mezzogiorno e, invece di fermarsi a Capri, a Positano, a Ischia o ad Amalfi, come fin qui erano usi, hanno continuato per la Calabria e la Lucania. E non ci son passati soltanto. Ci si sono fermati.
Fra loro, ci sarà anche stato chi lo ha fatto per darsi le arie del blasé̀: lo conosciamo, quel tipo di villeggiante da Riviera, che ogni anno dice con disgusto: “Qui non ci si può più venire. Per giocare a canasta coi milanesi, tanto vale restare a Milano...”; ma poi, se gli levano i milanesi e la canasta, non sa più che fare, che dire, come passare il tempo.
Ma son pochi. I più, andatici per riposare veramente, ci si son riposati sul serio, hanno trovato stupendi quei posti, amabile la gente, e hanno scoperto – buoni ultimi fra gli europei – che laggiù c’è in potenza una Florida. A Maratea, per esempio, un industriale piemontese ha aperto un albergo che, già pieno quest’anno di debutto, l’anno venturo dovrà respingere chissà quante prenotazioni. I clienti sono rimasti entusiasti, e nei loro racconti, scritti e orali, c’è forse anche un po’ d’esagerazione: l’esagerazione di chi, aspettandosi il deserto, ha trovato invece l’oasi…”.
La newsletter di Orizzonti si ferma una settimana, buone vacanze. Ci rivediamo il 20 agosto.