12/06/2021 - Ora che la situazione dei contagi appare sotto controllo - in Basilicata il 6 giugno è si è registrato solo un tampone positivo su 157 – e la luce in fondo al tunnel si fa sempre più forte, è arrivato il tempo della riflessione. Se c’è una cosa che gli avvenimenti legati all’emergenza pandemica globale ci hanno insegnato è che non è più possibile ignorare il ruolo fondamentale della medicina di prossimità. È vero che l’emergenza Coronavirus ha causato, tra le altre cose, affollamenti ed ingolfamenti negli ospedali, ma è anche vero che anche in precedenza in tempi di attesa al pronto soccorso erano estremamente lunghi, persino per una banale frattura. Esiste una risposta ad un problema che appare ormai cronico? Come sempre, il territorio. O, meglio, la medicina di prossimità.
Cosa significa? Significa riuscire ad essere vicini al cittadino, curarlo evitando che questo si rechi – ove possibile, chiaramente – al pronto soccorso, contribuendo a rallentare ulteriormente un meccanismo arrugginito da anni di problematiche. Come si potenzia questo tipo di medicina? Occorre risolvere le criticità di quei presidi nei piccoli comuni. A Melfi, ad esempio, il sindaco Valvano ha denunciato la mancanza della “risonanza magnetica, per cui il cittadino bisognoso di cure urgenti deve essere trasferito in ambulanza presso la struttura centrale di Potenza […] mancano attrezzature aggiornate in radiologia (macchine degli anni '70/80), in endoscopia, nel reparto di Ostetricia e in chirurgia”.
Per riuscire a garantire cure adeguate e tempestive è necessario, allora, agire capillarmente sul rendendo efficienti tutti quei presidi che, attualmente, non sono preparati a rispondere alle esigenze dei cittadini. Il Coronavirus ha impartito una dura lezione: sta a noi, adesso, mettere in pratica quanto imparato.