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Burocrazia e ambiente non vanno sempre d’accordo

La crescita delle fonti rinnovabili è spesso ostacolata da procedure organizzative lente e contenziosi che arrivano in tribunale.

12 febbraio 2021
2 min di lettura
12 febbraio 2021
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12/02/2021 - Procedendo al ritmo attuale, i target di riduzione delle emissioni di anidride carbonica e sviluppo delle fonti rinnovabili fissati dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) italiano e confermati da Bruxelles per il 2030 ed il 2050 saranno raggiunti con il ragguardevole ritardo di una sessantina d’anni. È quanto emerge le stime di Elettricità Futura, l’associazione confindustriale che riunisce i produttori di energia elettrica. La colpa non è degli incentivi alle rinnovabili, giudicati mediamente sufficienti, e nemmeno della pigrizia delle imprese del settore, ma piuttosto della burocrazia e delle procedure autorizzative.

Per costruire e “mettere in rete” un sistema eolico o fotovoltaico servono 12-36 mesi. Ma soltanto quando tutto va bene. Se qualcosa o qualcuno si mette di traverso, i tempi si allungano a dismisura, fino a ritardare sensibilmente i tempi della transizione energetica, da tutti invocata.

A rendere il mondo delle fonti rinnovabili più simile a un percorso di parkour che a una serena attività di sviluppo imprenditoriale sono spesso gli enti locali, dalle regioni ai comuni, e le sovrintendenze. E spesso vengono chiamati in causa i tribunali amministrativi per dirimere le contese.

È quanto è accaduto in Basilicata per il progetto eolico di Vaglio Nord, avanzato da E2i Energie (joint venture tra Edison, il fondo F2i e la francese Edf). Il progetto era stato fermato dalla Sovrintendenza archeologica, ma è stato giudicato legittimo dal tribunale, che ha definito la decisione dell’organismo di tutela del patrimonio culturale “apodittica” e “infondata”.

Diverso il caso del fotovoltaico: la Regione ha varato un progetto di legge che potrebbe ridurre da 20 a 3 Megawatt la taglia massima dei singoli impianti di generazione elettrica solare, a meno che non vengano realizzati su aree degradate e incolte. Le associazioni del settore hanno protestato sostenendo che una simile norma avrebbe effetti nefasti per qualsiasi sensata politica di sviluppo sostenibile. Non è questa la sede per valutare una simile ipotesi normativa, che, peraltro, attende ancora di essere portata al voto del Consiglio Regionale. Ma, forse, l’idea di mettersi intorno a un tavolo e valutare con serenità i pro e i contro dei singoli progetti, avendo bene in vista gli obiettivi vincolanti di crescita delle fonti rinnovabili (che non possono essere sempre delegati al vicino di casa), permetterebbe di conseguire risultati migliori in tempi più brevi.

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