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Consorzi industriali, la riforma necessaria

L’Asi Potenza accumula debiti e inefficienze. Ma il progetto per farlo diventare una S.p.a regionale non piace a molti.

29 gennaio 2021
6 min di lettura
29 gennaio 2021
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29/01/2021 - Se la crisi si misura da come ti rappresenti, basta dare un’occhiata al sito dell’Asi Potenza, per rendersi conto di come è messo oggi il consorzio per lo sviluppo industriale. “Operativo dal 1961”, si legge su una homepage vintage, scarsamente assortita, poche news di servizio e qualche pdf da scaricare. Del resto, tra lotti in offerta, mezzi in vendita e avvisi per sistemare vasche di accumulo, c’è anche la richiesta di un’indagine di mercato per dotare la struttura consortile di un nuovo software per le gare telematiche.

È messo male, il consorzio. Non da oggi. Servizi forniti alla metà di quello che costano (c’è una vecchia questione giudiziaria sull’adeguamento delle tariffe), iniezioni annuali dal bilancio regionale, 40 milioni di debiti, un giro impressionante di contenzioso.

A luglio scorso il commissario straordinario, Francesco Pagano, ricordava ai consorziati, attraverso il sito, di essersi insediato sei mesi prima annunciando future visite “one to one” nelle singole aziende dopo la paralisi da lockdown e ammettendo, mentre l’industria era già da un bel po’ alle prese con i decreti ristoro e il blocco dei licenziamenti, “un velo di foschia sui nostri orizzonti”.

C’è poco da aggiungere: il consorzio, pieno di debiti e con difficoltà nei servizi, è decotto, distribuisce acqua ma non è in grado di aggiustare le strade della vallata di Tito, ha i creditori alla porta. Così come fu concepito negli anni del boom non ha più ragione di esistere. La riforma alla quale ha messo mano la politica lucana è dunque ineludibile.
Da questo punto di vista l’accelerata data al progetto dall’assessore alle attività produttive, Francesco Cupparo, risponde a un oggettivo bisogno di archiviare un carrozzone ormai moltiplicatore di interessi passivi. Ma la riforma, per quanto urgente, ha incassato solo no, non è piaciuta a nessuno, neppure ai colleghi di Cupparo (che si è dimesso), non è piaciuta cioè agli stessi uomini del generale Bardi che hanno, anzi, colto la palla al balzo, sfruttando le perplessità che sul Ddl 53/2021 venivano persino dagli uffici della Regione, per mandare in crisi la prima maggioranza di centrodestra che governa la Basilicata da due anni. Un pretesto, visti i rapporti intermittenti già da mesi, utile a spingere verso un rimpasto.

Negli stessi giorni della crisi del Conte bis, Bardi si è così ritagliato uno spazio lucano a Roma con i leader nazionali della sua squadra di governo per riportare ordine nelle truppe di via Verrastro. Non dovrebbero esserci sconvolgimenti all’attuale quadro generale pur con l’inevitabile sindrome da “seggiole e poltrone” e una vagheggiata call, di moda ma dagli esiti, almeno qui, assai improbabili, a costruttori e responsabili.

La riforma prevede lo scioglimento del consorzio di Potenza e la nascita di una nuova S.p.a. regionale che dovrebbe inglobare anche l’omologo consorzio di Matera che, però, ha i conti in ordine e rischierebbe – questa una delle maggiori preoccupazioni – di essere travolto dalle criticità di gestione unitaria.

La nuova S.p.a. passa la gestione fondamentale della depurazione ad Acquedotto Lucano e parte da zero, per gli altri servizi, con un capitale di 5 milioni.

Una riforma legislativa non è mai una passeggiata ma questa sulle “Aree produttive industriali Basilicata” appare ad oggi tutta in salita (anche se la crisi di via Verrastro dovesse essere superata) per i pareri negativi tecnici, oltre che politici.

La duplicazione dei centri di decisione e gestione amministrativa in Basilicata è un vecchio problema, affrontato nel corso degli ultimi anni, già prima dell’arrivo del generale Bardi, con prime semplificazioni alle quali si sono adeguate anche associazioni e organizzazioni come Camera di commercio e Confindustria.

La forte storia identitaria e la diversa vocazione territoriale di Potenza e Matera, l’obiettiva distanza tra le due città, la maggiore concentrazione di servizi nel capoluogo hanno sistematicamente “innervosito” il fronte orientale della Basilicata. Matera si è vista spogliata di autonomia e anche di centralità, considerato che quasi tutti gli accorpamenti degli enti finivano per trascinarne la testa decisionale inevitabilmente nel capoluogo di regione. A Matera, per ristoro e compensazione, un annetto fa fu assegnata la sede regionale della neo riformata Apt (Agenzia per il turismo) sull’onda della nomina a Capitale europea per la cultura. Roba da poco rispetto a centri più nevralgici di spesa. Di fatto tra sedi legali, uffici di corrispondenza, punti operativi, i doppioni spesso sono rimasti, con l’inevitabile strascico di discussioni, a volte tossiche a volte fondate, su costi, personale, nomine dirigenziali.

Confindustria e Confapi hanno giudicato il Ddl “inadeguato”: bisogna prima risanare la gestione dell’area industriale di Potenza, sostengono, e “la forma giuridica del nuovo soggetto non può essere quella della società per azioni, ma più propriamente di un’azienda di natura pubblica, così come recita il comma 3 dell’articolo 62 dello Statuto regionale”.

Da Matera il presidente di Confapi, Massimo De Salvo, avanza anche dubbi di legittimità costituzionale. Innanzitutto, la scelta della natura giuridica della S.p.a. è in chiaro contrasto con la legge n. 317/91 che esplicitamente vuole che i soggetti giuridici gestori delle aree industriali siano enti pubblici economici. La natura giuridica della S.p.a. sarebbe anche incompatibile con i compiti propri dei soggetti gestori, con particolare riferimento alla pianificazione urbanistica e ai poteri di esproprio.

No anche dall’amministratore unico di Acquedotto Lucano, Giandomenico Marchese che, pur avendo sottolineato l’ovvia disponibilità nell’attuazione di una legge regionale, non ha nascosto evidenti preoccupazioni sull’impatto economico-finanziario che avrebbe il passaggio della gestione degli impianti idrici dal Consorzio all’Acquedotto.

Le organizzazioni sindacali hanno espresso notevoli dubbi sul futuro e la stabilità lavorativa dell’indotto. Semaforo rosso anche dall’ufficio legale della Regione. Intanto il sito del consorzio assicura di essere in aggiornamento versione Beta e pazienza se scappa qualche data sbagliata negli avvisi.

Lucia Serino

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